2015-11-02 14:01:00

In un libro nato dal web "50 preghiere per i cercatori di speranza"


Un amico in ospedale, una gita in famiglia, il cenone di fine anno: da tutto può nascere una riflessione spirituale e un’invocazione d’aiuto al Signore. È questo il cuore del volume “50 preghiere per i cercatori di speranza” di Stefania Perna, professoressa di liceo con un dottorato in letteratura cristiana e mamma di famiglia. Al microfono di Roberta Barbi, l'autrice racconta la particolare genesi del suo libro, nato quasi per caso sui social network:

R. – Questo libro è nato proprio in modo strano, non avrei mai pensato di scriverlo… E poi continua anche ad avere una grande diffusione e questo è strano perché non è un romanzo. È piuttosto un libro di riflessioni esistenziali che diventano poi preghiera. Anni fa ho vissuto un periodo durante il quale, per motivi personali, ho cominciato a pormi tanti interrogativi esistenziali e a cercare delle risposte con ansia. E ho iniziato a postare qualcosa di queste mie riflessioni su Facebook, che poi è una sorta di diario virtuale pubblico. E quindi sono stata contattata da tantissime persone che leggevano questi testi e si sentivano – si ritrovavano insomma – con i loro sentimenti, i loro dubbi. È nata così l’avventura editoriale.

D. – Facebook può essere uno strumento per la nuova evangelizzazione?

R. – Di questo io ne sono assolutamente convinta, come per tutti i mezzi moderni. Si tratta di vedere come una persona lo usa, però aiuta tantissimo, anche perché mette in contatto a volte persone che hanno le stesse problematiche: insomma le riunisce in qualche modo.

D. – Le sue preghiere scaturiscono dalla vita quotidiana e si elevano al Signore portando con sé alcune delle domande fondamentali dell’uomo. Crede che sia questa facilità del lettore di identificarsi con ciò che lei scrive, il punto di forza del suo libro?

R. – Sì, assolutamente sì. Lo hanno dimostrato anche i feedback che abbiamo ricevuto. Devo dire che quando ho iniziato a scrivere, avevo in mente proprio quei sentimenti e quelle situazioni nelle quali ci ritroviamo tutti, perché soprattutto quando si soffre o si hanno dei problemi, si pensa di essere assolutamente unici. E invece poi si scopre che certi tratti sono comuni a tutti e questo è molto bello… Quello che ho cercato di trasmettere è la mia riscoperta della fede: un percorso bello, possibile e desiderabile per tutti. Perché quello che ho notato spesso è che noi consideriamo la fede come una cosa buona, una cosa vera, ma queste categorie non sono molto coinvolgenti. C’è uno scrittore, che ho citato anche nel libro, don Divo Barsotti, che lo spiega benissimo, quando dice che la verità a volte ferisce. L’uomo ha paura della verità, specialmente se è nel torto. La bontà è faticosa; invece, di fronte alla bellezza, l’uomo è disarmato. Si tratta quindi di riscoprire proprio la bellezza della fede.

D. – Le sue riflessioni sono spesso attraversate dal dubbio: dove può trovare risposte l’uomo di oggi?

R. – Anzitutto io penso che il dubbio sia proprio costitutivo del percorso di fede. Anzi non tanto il dubbio, ma la “domanda”, come dice don Giussani. Perché c’è una differenza: il dubbio in genere è qualcosa di un po’ paralizzante – uno è in dubbio e non sa cosa fare – invece la domanda presuppone un desiderio di conoscere meglio quello che si ha davanti, di capirlo meglio. Infatti, se vediamo il Vangelo, è pieno di domande; chiunque sia vicino a Gesù fa domande: “Chi è più grande?”; “Come posso raggiungere la vita eterna?”. Il problema è che, per rispondere a questo tipo di domande, bisogna prima avere fede. Nel cammino, mi si chiede giustamente dove si possano trovare le risposte. I mezzi sono sempre quelli: nella scrittura, nella preghiera… Però è un cammino, non sono risposte confezionate.

D. – Quindi se la nostra fede ci fa un certo punto delle domande non dobbiamo averne paura…

R. – Assolutamente no, perché le domande sono la strada per poi arricchirsi di qualcosa. Chi non si pone domande in un certo senso è morto, perché è già contento di tutto quello che ha e quindi non si muove per niente. E invece la fede è cammino. Nella prima pagina del Vangelo in cui si parla dei discepoli, questi ultimi chiedono: “Maestro dove abiti?”, e lui risponde: “Venite e vedrete”. C’è sempre l’idea del cammino nella fede.

D. – Sempre più spesso la Chiesa venera esempi di santità nella quotidianità. Basti pensare alla canonizzazione dei genitori di Santa Teresa del Bambino Gesù. Dunque, nella quotidianità si può trovare la via per la salvezza...

R. – Direi che questo è il messaggio fondamentale che volevo trasmettere con il mio libro: la quotidianità deve diventare preghiera. Dal Concilio Vaticano II in poi, ormai è noto che la santità riguarda tutti ... Quindi la sfida è quella di riuscire a collegare la preghiera alla vita, anche perché, quando la si collega veramente, non ci si stanca mai di pregare, perché sono realtà sempre nuove: sia la vita che la preghiera. Il mio testo in realtà nasce così: all’inizio c’è un grido a Dio che nasce dalla situazione che una persona sta vivendo, dal problema che ha, o anche dalle circostanze banali – ce ne sono alcune al mercato o che riguardano una persona cara in ospedale. Quindi la prima parte è questo grido. E poi il grido che viene trasfigurato, quando lo si avvicina alla preghiera, alla scrittura, alle frasi dei santi, prende una luce nuova. È proprio il legame preghiera-vita nella vita quotidiana.








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