2015-11-04 13:48:00

Sud Sudan: cade aereo, 40 vittime. Cuamm: è emergenza a Lui


Un aereo cargo di fabbricazione russa, ma forse di proprietà di una compagnia armena, è precipitato poco dopo il decollo dall'aeroporto di Juba, capitale del Sud Sudan. Almeno una quarantina le vittime, tra quanti erano a bordo e persone a terra, rimaste coinvolte nello schianto avvenuto su un'isoletta sul Nilo Bianco. Sopravvissuti un membro dell'equipaggio e un bambino che era tra i passeggeri. La sciagura giunge in un momento particolarmente critico per il giovane Stato africano, dove proseguono le violenze scoppiate a dicembre 2013. Nonostante varie intese di pace, di fatto va avanti la violenza che vede opporsi le truppe del presidente Salva Kiir, di etnia Dinka, e quelle del suo ex vicepresidente, Riech Machar, di etnia Nuer. La guerra civile ha già provocato decine di migliaia di morti e oltre due milioni di sfollati. In questa emergenza, la tragedia di oggi a Juba. Ce ne parla Giovanni Putoto, epidemiologo e responsabile programmazione di "Medici con l’Africa Cuamm", appena rientrato dal Sud Sudan. L’intervista è di Giada Aquilino:

R. – In questo momento, per quello che sappiamo, ci sono delle squadre di emergenza che si sono precipitate sul posto dello schianto. I sopravvissuti sembrano essere pochissimi – solo due persone – e li stanno assistendo, come stanno assistendo anche la popolazione che è stata colpita. L’aereo, infatti, sembra sia andato a schiantarsi su persone che stavano lavorando, su dei pescatori. Le ambulanze stanno trasportando i feriti agli ospedali di Juba, in particolare all’ospedale centrale governativo, per fornire assistenza diretta. A Juba non mancano gli aiuti, perché essendo la capitale l’assistenza è abbastanza disponibile.

D. – Anche in questo caso, c’è chi non esclude una pista terroristica. In generale, c’è il rischio di infiltrazioni in Sud Sudan?

R. – Il Sud Sudan è uno Stato fragile, perché sono fragili le istituzioni, i servizi sociali. Complessivamente, è fragile la vita delle persone perché non possono adempiere ai bisogni ordinari di vita: lavorare, partorire, andare a scuola e così via. In questi contesti, non si può escludere che ci siano anche componenti di destabilizzazione ulteriori, che vanno a sommarsi a quelle già presenti nel Paese, che fanno riferimento alle lotte intestine che esistono tra le varie fazioni governative e antigovernative.

D. – Proprio in questo quadro di emergenza, una situazione particolare è quella che riguarda l’ospedale di Lui, nell’Equatoria occidentale, dove sono presenti gli operatori di "Medici con l’Africa Cuamm". Cosa è successo?

R. – La situazione è di grande tensione. Ci sono stati combattimenti e scontri piuttosto intensi tra l’esercito e la milizia locale e questi scontri hanno interessato anche l’ospedale. Delle persone armate sono entrate all’interno del recinto ospedaliero e hanno minacciato gli studenti della scuola di ostetricia, che è annessa alla struttura, e il personale ospedaliero. Ci sono quindi molte difficoltà a garantire i servizi minimi essenziali cui il nostro personale sta provvedendo. Sono servizi che vanno dall’assistenza al parto, ai bambini ammalati di malaria, di polmonite, di malnutrizione. Sono le patologie più frequenti, ordinarie, che sono anche indice della povertà molto grave in cui si trova il Paese. Oltre a questo, c’è un problema altrettanto grave: quello della popolazione sfollata. Questa popolazione è in fuga da anni. Non appena ci sono incidenti del genere, scappa nel bosco per cercare salvezza. Solo che in mezzo alla boscaglia non ci sono le condizioni per una vita dignitosa: non c’è il cibo, perché si è abbandonata la casa, e non ci sono i servizi sanitari.

D. – Lei ha fatto riferimento alla guerra civile, che di fatto si protrae dal 2013. Ci sono state anche varie intese per porre fine al conflitto, che vede opporsi le truppe del presidente Salva Kiir, di etnia Dinka, a quelle del suo ex vice, Riek Machar, di etnia Nuer. A cosa sono servite tali intese? L’ultima è di queste ore…

R. – C’è una forte pressione internazionale, perché queste intese si traducano poi sul campo in azioni di riappacificazione effettiva. Il problema è che sembra, come nel caso degli scontri nel Western Equatoria, che ci sia anche all’interno della compagine governativa un quadro di tensioni e di contrasti. Quindi, la situazione è veramente molto difficile da capire. Da un lato, ci sono le contese tra il presidente e Machar e, dall’altro, ci sono questi segnali di divisione all’interno della compagine governativa.

D. – Lei è appena rientrato dal Sud Sudan: cosa le ha detto la gente? Di cosa c’è bisogno ora in Sud Sudan?

R. – Sono andato a trovare degli sfollati, un gruppo di quasi 1.500 persone a quattro km dall’ospedale. Una donna anziana, che mi mostrava il cibo – dei tuberi – che era costretta a mangiare, mi ha detto: “Sono stufa di scappare, è tutta una vita che lo faccio. Ho partorito in condizioni difficili e stanno partorendo in condizioni difficili anche le mie figlie. Spero che le mie nipoti non siano costrette anche loro a ripetere le fatiche e le sofferenze che ho vissuto finora”.

D. – Qual è quindi la speranza di "Medici con l’Africa Cuamm"?

R. – La speranza intanto è di stare con loro. Vogliamo fare dell’ospedale – insieme alle istituzioni, alla popolazione locale – un luogo dove le persone si sentano curate, assistite e protette.








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