2015-11-06 14:30:00

Lettera alla città di Roma: urge "un supplemento di anima"


Le nuove povertà, l’accoglienza e l’integrazione, la formazione di una nuova classe dirigente nella politica. Sono i contenuti della ‘Lettera alla Città’ presentata ieri sera nella Basilica di San Giovanni in Laterano, dal cardinale vicario per la diocesi di Roma, Agostino Vallini. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

Roma oggi vive transizione e crisi. Corruzione, impoverimento urbanistico, crisi economica: sono soltanto alcuni degli “affanni” di una città in cui aumentano le povertà, le tensioni sociali, soprattutto di fronte alla “sfida dell’immigrazione”, alimentate anche dalla “sfiducia nelle istituzioni civili e la perdita del senso di appartenenza sociale”. Il cardinale Vallini parla ai romani tutti, con una lunga lettera in cui mette a fuoco i dolori che investono oggi la capitale, in cui chiama i cristiani della città a brillare come “luce del mondo” e ad un forte impegno per “imprimere nuovo slancio e passione alla rigenerazione della vita sociale”. Tante le sofferenze di Roma, molte delle quali provocate dalla disoccupazione, e poi le diseguaglianze tra centro e periferie, gli steccati tra ambienti sociali diversi. Va poi anche “ristabilito un nuovo patto generazionale tra adulti e giovani”.

Il porporato elenca i segnali del degrado urbano di alcuni quartieri, ai quali si aggiungono problemi di sicurezza e di violenza. Chiede poi di non accusare o condannare le istituzioni o la società, ma piuttosto di fare ognuno la propria parte, perché alla radice del problema “c’è una profonda crisi antropologica ed etica”. La lettera è un richiamo a sconfiggere “la diffidenza”, laddove sembra smarrito “il senso condiviso dell’inviolabile dignità della persona” i romani devono ritrovare il prezioso tesoro che è il Vangelo. E poi ancora un appello: perché in questo Anno Santo della Misericordia si agisca “concretamente affinché Roma diventi sempre più abitabile”. Occorre “ripartire dalle molte risorse civili e religiose della città”, ricordando sempre “il ruolo della Chiesa”, soprattutto nella persona del Papa. La Chiesa intende rendere Roma “più attiva, più partecipe e più unita. Aperta a tutti e che vada incontro ai bisogni e alle richieste della popolazione”.

Cinque le sfide che si devono quindi affrontare. La prima: la povertà delle famiglie, assillate dalla mancanza di lavoro, non sostenute dai sussidi e, in alcuni casi, colpite anche dal gioco d’azzardo, piaga che deve essere affrontata con “interventi rapidi e decisi a livello culturale e normativo”. Vallini ricorda inoltre la necessità di politiche a sostegno di chi non ha casa, di chi ha perso il lavoro, dei separati, di anziani, di immigrati e dei senza fissa dimora.

Altra sfida: l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati tutti, che devono essere aiutati, loro e le famiglie, ad integrarsi con  strategie efficaci e condivise. La “comunità cristiana è impegnata a promuovere la cultura dell’incontro”, si dovrebbero quindi organizzare “eventi comuni contro la violenza e contro le stragi commesse in nome di Dio”. La Chiesa è quindi pronta a rispondere alla richiesta del Papa di accogliere una famiglia di profughi e a combattere “ogni forma di sfruttamento prodotto dalla «cultura dello scarto»”: da quello economico degli studenti fuori sede e degli stranieri, a quello della prostituzione.

Terza sfida: l’educazione. Nell’era di Internet il rischio è di “un determinismo tecnologico per cui si spostano verso la ‘rete’ compiti che sono propri dei soggetti educativi, come ad esempio quelli di promuovere alla libertà e alla democrazia”. Altro rischio serio: quello di “emarginare l’educazione al pensiero critico a favore di una mitologia dello sviluppo economico”. Non si può “insegnare alle nuove generazioni che l’unica cosa che conta è la crescita della quantità di denaro”. Serve quindi  “costruire una cultura di spessore, tutelare e includere gli alunni fragili e in difficoltà, promuovere il senso etico e civico, educare alla legalità, al rispetto reciproco e all’accoglienza di ciascuno”, un impegno che richiama alla necessità di un uso competente e consapevole dei mezzi di comunicazione, punto che riveste la quarta sfida.

Negli ultimi trent’anni, scrive  Vallini, i mass media, soprattutto le tv,  hanno  “proposto immaginari sociali e modelli di vita spesso irreali, suscitando aspettative di successo e di benessere, e non di rado legittimando nell’opinione comune l’uso di mezzi moralmente censurabili per raggiungere tali obiettivi”. Il mondo proposto è spesso “un brutto posto dove non verrebbe voglia di vivere”, che strumentalizza in modo degradante l’immagine della donna, dove si fa “scempio della conflittualità familiare e della coppia”, dove “si produce una volgarità invadente” e si legittimano comportamenti  “violenti e di prevaricazione”. “Si impone quindi l’urgenza di ricostruire una cultura collettiva più umana e più vera. Più attraente”. La Chiesa intende essere presente “nell’agorà dei media, offrendo la sua voce ed il suo punto di vista”.

Quinta ed ultima sfida: formare la classe dirigente di domani, che sia competente e dedita al bene comune. Pur senza esprimere una condanna generalizzata e senza appello, Vallini sottolinea come una delle cause dell’attuale situazione di crisi debba essere individuata anche nella debolezza di parte della classe dirigente, laddove spesso persone di valore non riescono ad esprimersi, mentre altri spinti da “brama di potere e desiderio smodato di arricchimento”, occupano posti nella direzione e gestione delle istituzioni.

In conclusione: occorre garantire ad ogni cittadino e famiglia lo sviluppo e il pieno esercizio della dignità umana, mentre la “classe dirigente è chiamata a fare il possibile per garantire a tutti dignità piena e il necessario per formare e mantenere una famiglia”. Occorre avviare il "cantiere" per costruire adeguati “cammini di formazione pre-politica aperti a tutti, particolarmente alle migliori energie giovanili, per rimotivare anzitutto i credenti all’impegno politico come servizio verso la società ed esercizio supremo della 'carità sociale'".. 

“In questo momento di grandi cambiamenti epocali, il Giubileo della Misericordia è una grazia per la Chiesa e per ogni cristiano”, spiega Vallini, e la “Chiesa di Roma vuole fermarsi, inginocchiarsi e offrire il proprio aiuto davanti alle sofferenze degli uomini”. Roma, è il richiamo, ha urgente bisogno di questo “supplemento d’anima” per essere all’altezza della sua vocazione e delle nostre attese di speranza.

 

La Lettera alla Città di Roma è una lettera che non nasconde i problemi della città, ma è anche una lettera di forte speranza per il futuro. Ascoltiamo il cardinale vicario Agostino Vallini al microfono di Luca Collodi:

R. – E’ nata proprio con questo desiderio, di fotografare in qualche modo la realtà di sofferenza, di atteggiamenti un po’ problematici che tanta gente avverte, ma anche con l’idea di dire: guardate, che in questa città ci sono tante risorse positive e dobbiamo riuscire a superare questo momento per andare verso il futuro, perché è possibile: il Signore ce lo chiede.

D. – Guardando la comunità civile, forse emerge la debolezza di parte della classe dirigente romana …

R. – Ma sa, “classe dirigente” è un termine per indicare non solo gli addetti alla vita politica amministrativa, ma anche a tutto quello che riguarda il mondo della cultura, dell’imprenditoria, dei sindacati, del mondo dello sport, del tempo libero … Molta gente fa parte della classe dirigente e allora allarghiamo l’orizzonte per non entrare in quella polemica che nella Lettera abbiamo voluto evitare di proposito. Noi non puntiamo il dito su nessuno, non condanniamo persone e istituzioni, ma diciamo: prendiamo coscienza, perché un malessere vero esiste ed è un malessere diffuso per una cultura permissiva, che anche dinanzi agli atteggiamenti più doverosi di giustizia e di solidarietà è venuta meno. In fondo, è un invito a un esame di coscienza attraverso un appello che vorrebbe dare proprio una riscossa alla città di Roma. Ho detto nella presentazione che tempo fa avevo parlato di un “male” da cui è afflitta Roma, e cioè una forma di anemia spirituale, perché vedo proprio l’impoverimento spirituale a fondamento della crisi morale che poi è diventata crisi politica, crisi sociale, crisi economica … Se non ritorniamo al fondamento e ridiamo vita alla dimensione spirituale, sarà difficile risolvere soltanto con le indagini giudiziarie i mali di Roma.

D. – La Chiesa come può condividere gli affanni di Roma e affrontarli?

R. – Lo fa già quotidianamente attraverso vari canali. Il primo è la proposta del Vangelo: il Vangelo è il Signore Gesù che presenta agli uomini un orizzonte di vita diverso dalla chiusura autoreferenziale, dall’egoismo, dal ritenersi il principio di tutte le cose, quindi da quel soggettivismo e relativismo esasperanti che poi incapsulano l’uomo in una dimensione di povertà. E lo fa anche chiamando gli uomini cristiani – e anche gli uomini di buona volontà – all’assunzione di responsabilità verso i propri simili, verso la città, verso il mondo che ci circonda. Lo fa anche dando testimonianza e quando serve anche attraverso la denuncia.

D. – Il Giubileo, l’Anno Santo della Misericordia, pone delle sfide alla comunità romana …

R. – Direi di sì. E’ una ricchezza, è una grazia, è una grande opportunità per una ripartenza sociale e civile, ma per noi cristiani e per gli uomini che cercano Dio è certamente una grande grazia. La misericordia, il Giubileo della Misericordia, è in fondo un entrar dentro il mistero di Dio-amore che, donatoci attraverso Gesù, cambia la vita e ci chiede a nostra volta di ri-donare misericordia. Vorrei dire che la forza del Giubileo è proprio qui: invitare le persone in un cammino spirituale che abbia come finalità quella di rimettere in ordine i valori di fondo della vita e cercare di viverli.

D. – Qual è il malessere di Roma che più la preoccupa?

R. – Direi, una sorta di tristezza che si legge nel volto di tante persone, di sfiducia, di rinuncia, di rassegnazione. Ecco, ci piacerebbe proprio che anche la Lettera alla Città diventasse come l’occasione per riprendere una riflessione in positivo, e mostrasse che è possibile – anche grazie alle tante, meravigliose risorse positive che ha la nostra città – di riprendere un cammino e gradualmente trasformare quello che è un disagio in un’opportunità positiva.

 

Insieme al cardinale vicario Vallini, a presentare  la Lettera alla città, c’erano anche rappresentanti delle istituzioni, del mondo dell’università e della scuola, e della società civile. Il servizio di Marina Tomarro:

L’incoraggiamento ad un nuovo e concreto impegno dei cattolici verso il bene comune di una città difficile come Roma, affrontando quelle che oggi sono le nuove sfide: l’accoglienza degli immigrati, le povertà di tante famiglie, le disueguaglianze tra centro e periferie. Sono solo alcuni dei punti più importanti della lettera alla città. Il commento del giurista Francesco D’Agostino tra i relatori dell’incontro:

R. - Io credo che ci siano due dimensioni in questa lettera che bisogna considerare separatamente. La dimensione principale, a mio parere, è quella pastorale e spirituale: in questa prospettiva la lettera è rivolta ai cattolici, affinché ribadiscano pubblicamente che l’identità cattolica non può essere introversa, ma deve aprirsi al mondo e alle necessità del mondo. C’è poi un secondo aspetto di questa lettera: a me sembra che la “Lettera alla Città” voglia ribadire che tutti siamo chiamati ad operare per il bene comune, credenti e non credenti, e che i cristiani che sono in Roma non hanno alcuna difficoltà a collaborare con chiunque, purché si abbia come mira il bene di questa nostra – diciamolo pure – povera città.

D. – Una delle parole più comuni che c’è in questa Lettera è quella di “ripartire”…

R. – Ripartire può avere un significato strettamente spirituale e un significato politico. A livello spirituale, ogni cristiano riparte; a livello politico, ripartire significa assumere la consapevolezza che, in questi ultimi anni, la città si è in qualche modo fermata nell’accoglienza, si è fermata nei servizi sociali per le categorie più deboli, si è fermata politicamente. Quindi l’invito a ripartire vuol essere un forte ammonimento a tutti gli uomini di buona volontà, perché capiscano che il fermarsi è una tentazione grande, ma aggiungerei addirittura che  è anche una tentazione mortale.

Tra i temi affrontati nella lettera viene sottolineata anche l‘importanza all’educazione delle nuove generazioni. Ascoltiamo Elisa Manna, sociologa del Censis:

R. – Quando parliamo di educazione, stiamo parlando della società come sarà in una manciata d’anni. Non è soltanto per il bene dei nostri figli, ma vorrei dire che è per il bene di tutti noi, perché stiamo costruendo una società che è intrisa di valori di individualismo, di egoismo, di narcisismo e che non si rende conto che bisogna trasmettere alle nuove generazioni valori come il senso di responsabilità, come l’onestà, il senso della legalità. Ma bisogna farlo già sui banchi di scuola, già nei primissimi rapporti con gli amichetti a scuola. E’ importante perché quando poi si vuole recuperare, rischia di essere troppo tardi.

 

 

 

 

 








All the contents on this site are copyrighted ©.