2015-11-09 14:27:00

Rapporto Antigone, diminuiscono i minori nelle carceri italiane


Diminuisce il numero dei minori negli Istituti di pena italiani. E’ quanto emerge dal terzo Rapporto sugli Istituto di pena per minorenni realizzato da “Antigone” in collaborazione con l’Isfol, l'Istituto per lo Sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, e presentato questa mattina a Roma. Il servizio di Davide Dionisi:

Si intitola “Ragazzi fuori” e rivela che le carceri minorili hanno ormai un uso davvero residuale all’interno del sistema giudiziario italiano. Il terzo rapporto sugli Istituti di pena per minorenni (Ipm), realizzato da “Antigone” e presentato questa mattina a Roma, scatta un’istantanea piuttosto confortante, anche se c’è ancora molta strada da percorrere perché gli Istituti di pena per minori diventino sempre meno simili a una prigione e anche se è giunto il momento per pensare ad ogni modalità affinché i ragazzi rimangano al di quà delle sbarre. La situazione italiana nella testimonianza di Alessio Scandurra, responsabile per Antigone dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione:

R. – La situazione è quella di numeri piuttosto limitati: i minori in carcere in Italia sono pochi. Da tempo viaggiano attorno ai 400. Nell’ultimo anno sono leggermente cresciuti, perché è leggermente cresciuta la platea, è cambiata la legge: un ragazzo che aveva commesso un reato da minorenne fino a ieri poteva scontare la propria pena in Ipm fino ai 21, oggi può scontare la propria pena fino ai 25 anni. Questo è il motivo per cui i numeri sono leggermente cresciuti, ma è un fatto indubbiamente positivo perché significa che i giovani-adulti fino a un età anche un pochino più avanti possono scontare la propria pena in un contesto meno caratterizzato dalla dimensione contenitiva, repressiva, e più caratterizzato da una dimensione invece educativa, trattamentale, tesa al reinserimento della persona..

D. – Coltivare la dimensione religiosa può avere un valore educativo per i minori ristretti?

R. – L’esperienza religiosa può certamente essere uno degli ingredienti che diano una prospettiva diversa, utile e nuova a questo periodo della propria vita che i ragazzi si trovano a trascorrere in una struttura detentiva.

D. – Quali sono gli elementi di novità di questo vostro Terzo Rapporto?

R. – Un generale miglioramento degli indicatori quantitativi, nel senso che continuano a entrare meno persone nei centri di prima accoglienza, continuano a entrare meno persone che in passato negli Ipm e anche alcune disparità problematiche che vedevamo – cioè il fatto che per esempio gli stranieri sono una percentuale molto alta dei ragazzi detenuti in Ipm – anche questi indicatori oggi sono un po’ meno allarmanti di ieri, sembrano in parte rientrati. L’altra cosa che si registra con una certa soddisfazione è che le opportunità trattamentali, cioè l’apertura verso l’esterno degli Istituti – che rimane limitata, rimane un percorso da percorrere fino in fondo – in ciò tuttavia dei passi avanti noi in questi ultimi anni li abbiamo visti.

D. – Quali sono i problemi principali che si incontrano nell’affrontare un approccio rieducativo con i ragazzi e le ragazze che vivono in carcere?

R. – I problemi principali sono in parte legati ai limiti imposti dalle strutture. Questi Ipm in genere non sono strutture moderne, non sono strutture nate nell’ottica di riforma o di trasformazione che oggi vogliamo in qualche modo valorizzare. Quindi, hanno una serie di limiti strutturali, hanno pochi spazi per l’attività, spesso sono lontani dal centro delle città, sono lontani poi dal cuore delle attività sociali e culturali delle città e questo rappresenta certamente un ostacolo materiale. Indubbiamente, c’è un impegno dei servizi sociali, del terzo settore verso le persone detenute in Imp, ma è un impegno spesso disorganico. In qualche modo, sembra che l’impegno degli Ipm sia quello di fare spazio a questi interventi del territorio, ma quasi mai c’è invece una concertazione, una regia comune dall’inizio di questi interventi: è come se l’Ipm fosse un luogo “altro” dove si cerca di fare arrivare il meglio della vitalità sociale, culturale che c’è sul territorio, ma non è un pezzo integrato di questo territorio e quindi le politiche culturali, le politiche educative, le politiche sociali del territorio non hanno il carcere come loro luogo anche naturale, fisiologico.








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