2015-11-10 14:51:00

Russia. Doping di Stato, Mosca rigetta le accuse e si difende


Scandalo sportivo in Russia. Mosca reagisce duramente alla denuncia dell’Agenzia mondiale antidoping, la Wada, che ha chiesto la sospensione per due anni degli atleti russi da qualsiasi competizione, la squalifica a vita per alcuni di loro, col rischio di perdre 19 medaglie, e ha sospeso il Laboratorio antidoping di Mosca. Il Cremlino non ci sta, rivendica il diritto di difendersi e la Federatletica russa si dice pronta a presentare tutta la documentazione necessaria e i provvedimenti già avviati. Domani, la convocazione a Sochi da parte del presidente Putin dei capi delle Federazioni sportive, in vista delle Olimpiadi di Rio 2016. Per alcuni si tratterebbe di "doping di Stato gestito dai Servizi segreti", per altri di una nuova tappa della guerra fredda in atto tra Washington e Mosca. Al microfono di Gabriella Ceraso, l’analisi di Fulvio Scaglione, esperto dell’area ex sovietica e vicedirettore di Famiglia Cristiana:

R. – Da quando Putin governa la Russia, i Servizi segreti russi vengono tirati in ballo per ogni cosa, perché Putin è un ex dei Servizi segreti, quindi fa abbastanza comodo dipingere la Russia come l’"impero del male". Inoltre, per drogare e dopare gli atleti, secondo me, basta molto, molto meno. Detto questo, è chiaro che il doping di Stato è sempre esistito finché è esistita l’Urss e certi metodi sono proseguiti anche dopo. Ma non lo dice la Wada, lo dicono per esempio le stesse autorità sportive russe, che negli ultimi tempi hanno comminato squalifiche a loro atleti di primissimo livello.

D. – Questo episodio può far pensare a qualcosa del passato già accaduto per la Cina o la Germania dell’Est, cioè governi centralizzati che anche con lo sport volevano forse dimostrare una certa idea di forza?

R. – Temo ci sia un’operazione di "marketing" politico, per non parlare di propaganda, dietro questa denuncia così improvvisa. Credo che questa cosa sia collegata soprattutto al mancato fallimento delle Olimpiadi invernali di Soči, quando ci fu una forsennata battaglia occidentale per dimostrare che le Olimpiadi di Soči non avrebbero mai funzionato, che erano il regno della corruzione, dell’inefficienza. Non successe nulla, però poco tempo dopo successe quel che successe in Ucraina. Quindi, secondo me, bisogna andarci un poco con i piedi di piombo.

D. – Ha senso mettere questo episodio in relazione con la presenza oggi di Mosca su diversi scenari internazionali?

R. – Io credo sia impossibile non collegarlo, anche perché va detto che questo rapporto della Commissione ha come oggetto solo lo sport russo, null’altro, non ha come oggetto il doping. E’ un’indagine, quindi, molto mirata. Tutto ormai è diventato politica, tutto: le azioni dei russi, ovviamente – per esempio, il doping in qualche modo esasperato degli atleti, per far bella figura nei contesti internazionali – ma anche la reazione a questo. E’ chiaro che tutto si mescola, è chiaro che tutto entra in una partita dove, diciamo così, la pace e la guerra vengono condotte con altri mezzi.

D. – E’ vero, quindi, come dicono alcuni scettici, che questa è un’altra tappa di questa nuova guerra fredda che rimette di fronte Washington-Mosca?

R. – C’è uno scontro globale in atto, non da oggi. In questo momento, in questo periodo storico, l’obiettivo è dipingere la Russia in qualunque modo, come uno "Stato canaglia", uno Stato reietto, da espellere dalla comunità internazionale a prescindere dalle responsabilità e dalle colpe – doping o non doping, politiche o non politiche – che la Russia può naturalmente portarsi sulle spalle.








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