2015-11-12 14:58:00

Scontro Israele-Ue su etichette prodotti dei Territori


Israele ha annunciato la sospensione delle riunioni con l'Unione Europea, dopo la decisione di Bruxelles di contrassegnare in modo specifico i prodotti che provengono dalle colonie ebraiche nei Territori occupati palestinesi. Secondo le autorità di Israele si tratta infatti di una decisione politica discriminatoria. La Commissione Ue ritiene invece che la dicitura "made in Israel" per i prodotti provenienti dagli insediamenti è semplicemente fuorviante per il consumatore. Marco Guerra ne ha parlato con Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente (Cipmo):

R. – Qui si tratta di applicare le regole della Comunità Europea. Le regole della Comunità Europea dicono che possono usufruire dell’etichetta “Made…” in un Paese i prodotti che sono prodotti in quel Paese e non all’estero o in territori occupati ovviamente. Se si accettasse che i prodotti fatti negli insediamenti all’interno dei Territori Occupati venissero considerati prodotti di Israele, questo significherebbe che l’Unione Europea accetterebbe il concetto che queste terre sono parte di Israele: il che contrasta con la politica complessiva non solo della Comunità Europea e dell’Unione Europea, ma anche di tutta la Comunità internazionale che ritengono quelli territori occupati e non territori parte di Israele. Quindi non si tratta di una regola ad hoc, applicata per quei prodotti: si tratta di una regola generale che viene applicata anche a quei prodotti. Ovviamente la cosa ha dei risvolti politici e questo è il motivo per cui tanti anni si è trascinata questa procedura, che finalmente adesso è arrivata al dunque e si applica, così come si applica a tutte le altre cose di questo tipo. Quindi è chiaro che il fatto che l’Unione Europea abbia deciso di applicare questo regolamento, che già preesisteva, ai prodotti dei Territori Palestinesi è un fatto politico. Era già un iter avviato, poi il segretario di Stato americano Kerry ha chiesto di sospendere la procedura per non intralciare il negoziato in corso; caduto il negoziato in corso e fallito quel tentativo di Kerry, era naturale che questo riprendesse il suo cammino. E così è stato.

D. – La Commissione europea ha dato il via libera ad una nota interpretativa su questa indicazione dei prodotti alimentari. Che significa?

R. – Significa che questo è un concetto generale, che va poi raccomandato ai singoli Stati di applicarlo secondo il proprio regolamento interno. Evidentemente questo va incontro ad alcune titubanze di alcuni Paesi membri che su questa questione hanno dimostrato maggiore riluttanza.

D. – Secondo Israele sono molti i palestinesi che lavorano presso queste aziende nei Territori Occupati. Che ripercussioni possono esserci?

R. – Ripercussioni possono esserci, indubbiamente. Questi lavorano presso aziende che sono situate nei Territori Occupati e non ci può essere la pretesa che queste aziende vengano scambiate come aziende israeliane. Il che non è! Non è dal punto vista giuridico: sono aziende realizzate su Territori Occupati e che debbono essere liberati…

D. – Secondo il ministero dell’Economia israeliano, l’impatto sarà di circa 50 milioni di dollari. Poca roba rispetto ai 30 miliardi di dollari scambiati tra Israele e Ue. Che tipo di rapporto commerciale c’è tra l’Unione Europea e lo Stato Ebraico?

R. – L’Unione Europea è il primo partner commerciale di Israele. E non solo: Israele partecipa anche ai programmi di ricerca e sviluppo del Programma “Horizon 2020”, che è un programma di estrema importanza e che porterà anche molti soldi ad Israele. Già un anno e mezzo fa Israele aveva, tuttavia, dovuto accettare una clausola per cui qualsiasi finanziamento effettuato ad aziende o a istituzioni israeliane non dovesse essere utilizzato nei Territori Occupati. Anche quella clausola sollevò forti obiezioni ma alla fine fu accettata.

D. – Certo, poi, nulla vieta che i prodotti dei Territori possano arrivare in Europa, ma saranno meno agevolati rispetto a quelli prodotti in Israele?

R. – Non c’è il blocco dei prodotti. E’ solo il fatto che viene posta una etichetta che dice che questi prodotti non sono israeliani, ma sono prodotti nei Territori Occupati. Il che mi pare sia anche un diritto del consumatore di sapere che cosa acquista e dove sia prodotta questa cosa qui… E’ una misura certamente dura, è – nell’ambito della “politica di bastone e carota” che viene applicata per spingere Israele a riprendere la vita del negoziato – un "momento di bastone". Tuttavia, di fronte al totale impasse del processo diplomatico e anche di fronte all’esplodere di nuove violenze, io credo che sia necessario che venga fatta pressione per rimuovere questa situazione e riavviarsi verso un processo negoziale che porti alla creazione di due Stati.








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