2015-11-13 19:17:00

Jihadi John ucciso da un drone in Siria, era il boia dell'Is


L’Is non sta guadagnando terreno in Iraq: lo ha detto oggi il presidente Usa Obama, in una giornata in cui si registra una importante vittoria dei peshmerga curdi che hanno riconquistato la città di Sinjar, ma in cui si contano ancora morti in un attacco suicida a Baghdad. E intanto, nonostante manchi la conferma ufficiale, sembra ormai certo che il boia Jihadi John, conosciuto per aver decapitato molti ostaggi, sarebbe rimasto ucciso in un raid. Servizio di Francesca Sabatinelli:

E’ entrato per mesi, violentemente, nelle case di tutto il mondo: interamente vestito di nero, volto coperto, un lungo coltello in mano, le sue minacce, soprattutto a Gran Bretagna e Stati Uniti, si concretizzavano nei minuti successivi alle sue parole, nei drammatici video, diffusi dall’Is, delle decapitazioni di ostaggi stranieri. Mohammed Awazi sarebbe stato centrato da un drone americano nella città siriana di Raqqa, la capitale del Califfato. Non è ancora chiaro se sia morto nell'attacco e sono in corso verifiche, ma c’è chi, come il segretario di stato Usa Kerry, ritiene che l’accaduto sia la dimostrazione dei giorni contati del sedicente Stato islamico. Una visione ottimista espressa anche dal presidente Obama che, all’emittente Abc, sempre oggi, ha dichiarato che, pur non essendo stato colpito il vertice dell’Is, è stato però bloccato il reclutamento dei foreign fighters, e che a fermare l’avanzata dei jihadisti, in Iraq e Siria, è stata anche la campagna di raid aerei della coalizione a guida Usa.

Obama ha anche detto che  per risolvere la crisi in Siria  si dovrà prima mettere mano alla situazione politica del Paese. Gli effettivi successi in Iraq si contano, come la riconquista della città yazida di Sinjar da parte dei peshmerga curdi, ancora si combatte in alcune aree ma la gran parte è liberata. Ora si punta a Mosul, seconda città irachena in mano agli jihadisti. Intanto però a Baghdad, in un attentato, rivendicato dall’Is, durante il funerale di un militante sciita, sono rimaste uccise almeno 18 persone, oltre 40 i feriti. In Siria, intanto, prosegue la massiccia offensiva aerea degli Stati Uniti e dei Paesi alleati contro i campi petroliferi dell’Is che, secondo gli Stati Uniti, produrrebbero all’Is entrate per 40 milioni di dollari al mese.

Le speranze di una tregua nell’area, a partire dalla transizione in Siria, sono tutte rivolte al vertice di una ventina di Paesi, domani a Vienna: co-presidenza Usa-Russia, presenza incerta ancora dell’Iran. Luci e ombre su questo appuntamento, come spiega Paolo Maggiolini, ricercatore dell’Ispi, l'Istituto studi di politica internazionale, al microfono di Gabriella Ceraso:

R. – E’ difficile prevedere se ci saranno significativi sviluppi, però certamente il fatto che ci sarà un nuovo incontro già è un fatto positivo, perché signica che prosegue l’idea di un accordo su una transizione, quindi l'idea di concentrarsi su una soluzione politica. Inoltre, c’è la questione di volere effettivamente coinvolgere tutti gli attori regionali e internazionali nel dialogo. Però, bisogna ricordare che la scorsa volta il nome di Assad non era mai ufficialmente comparso e anche nella proposta russa oggi non compare direttamente.Quindi, al di fuori della possibilità espressa di discuterne, rimangono forti distanze su cosa si intenda rispetto a un’uscita immediata o a lungo termine o a medio termine di Assad. Quindi, fondamentalmente per il futuro della Siria questo rimane ancora un aspetto problematico.

D. – Sul tavolo ci sarà questo piano della Russia. Che ruolo avrà?

R. – Io credo che il piano in sé non sarà archiviato, perché recepisce e continua quello che era stato discusso nel 2012, quando poi effettivamente la guerra civile ha preso il suo corso. Il problema centrale però è l’assenza di un riferimento chiaro ad Assad e inoltre rimane la questione su chi le varie parti riconosceranno essere gli interlocutori locali coinvolti nella transizione, a partire da quali siano i gruppi delle opposizioni che anche il fronte russo-iraniano riconosce. Chiaramente, inoltre, in questa fase le parti locali siriane non sono direttamente coinvolte e anche questa è una necessità certamente politica, ma che ci fa capire quanti sono ancora i passi da fare.

D. – La presenza dell’Iran come si delineerà in questo appuntamento?

R. – Importante, chiaramente, è la presenza contestuale dell’Arabia Saudita e dell’Iran, perché l’argomento è la Siria. Ma la possibilità di un riavvicinamento, anche di un dialogo, per quanto duro possa essere tra questi due attori, è fondamentale sia in prospettiva irachena che yemenita. Rimane però il nodo di capire esattamente quale sarà la disponibilità a trattare sulla figura di Assad, soprattutto perché al di fuori di ogni disponibilità al dialogo è sempre stato ribadito per ora che l’Iran si rimette al popolo siriano nella scelta del suo assetto politico futuro. Non è facile prevedere il prossimo round cosa porterà. Verosimilmente, non sarà un round storico, ma servirà per mantenere vivo questo canale di dialogo a patto che tutti saranno presenti.

D. – Iran e Russia spingono perché le decisioni di questo vertice non si sovrappongano a quello che è l’accordo interno alla Siria, non decidano cioè per la Siria dall’esterno... Regime e opposizione, dunque: in tutto questo cosa succede a loro? Se ne dovrà occupare l’Onu?

R. – Se è vero che il dialogo cerca per ora di creare le condizioni regionali – ed è importante perché chiaramente dovrebbe aiutare o permettere un qualche scambio e disgelo tra le varie posizioni – dovrebbe però anche portare alla fine a riconoscere almeno una legittimità di tutti gli attori coinvolti e quali questi siano. Se è molto chiaro infatti che tutti ritengono che il cosiddetto Stato islamico sia il nemico non è così chiaro con altri gruppi che comunque hanno animato l’opposizione e la guerra civile fino ad oggi. Quindi, credo che quella che sarà poi la fase di transizione ancora oggi non è chiara negli intendimenti degli attori del dialogo.

 

 

 








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