2015-11-15 08:30:00

Magri: non cedere a contrapposizione Occidente-Islam


I fatti di Parigi saranno al centro del G20 che si è aperto oggi in Turchia. Per il capo della Casa Bianca, Obama, occorre aumentare la pressione sull'autoproclamato stato islamico in Siria. Il presidente del Consiglio Europeo, Tusk, ha chiesto di affrontare il tema del finanziamento del terrorismo che arriva da molti Paesi. Mentre il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha invocato una riposta ferma sebbene nel rispetto delle leggi. Ma che legami individuare tra gli ultimi attacchi e l’operazione francese in Siria? Giada Aquilino lo ha chiesto a Paolo Magri, direttore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi):

R. – La Francia è un bersaglio perché ha una politica estera molto attiva: interviene militarmente in Mali, è uno dei Paesi che interviene militarmente anche in Siria, quindi, chiaramente, è un bersaglio. E’ stata un bersaglio per “Charlie Hebdo” e lo è ora. Ma l’altro elemento che conduce alla Francia è questo: è un Paese che ha delle cellule attive più che altri Stati, è uno dei Paesi in Europa che ha il maggior numero di cosiddetti “foreign fighters”, cioè di francesi che lasciano la Francia per andare a combattere in Siria e in Iraq. Non abbiamo però nessuna evidenza finora, per attentati in Europa, che questi siano stati compiuti da combattenti di rientro: l’ipotesi sempre verificata finora riguarda personaggi che sono nati e cresciuti, magari sono di seconda o terza generazione in Paesi europei e magari si sono radicalizzati e attivati.

D. – Gli esperti di intelligence riferiscono che dietro l’operazione lanciata da Hollande in Siria ci fosse l’obiettivo di neutralizzare un gruppo di combattenti che stava preparando attentati in Francia: sono sospetti o ci sono motivi fondati?

R. – C’è stato anche un intervento inglese in questa direzione: l’unico, perché la Gran Bretagna non sta intervenendo militarmente in Siria. Ma qui si tratta, perché non abbiamo informazioni, di due fenomeni che sono chiaramente collegati ma non magari per l’attentato: il fenomeno della situazione in Siria e in Iraq, dove ci sono atti violenti nei confronti di minoranze, nei confronti della popolazione, e il fenomeno di attentati da noi. Abbiamo temuto per mesi che ci fosse un “travaso” da là a qui, tramite i “foreign fighters” di ritorno: a oggi non abbiamo nessuna evidenza in tal senso, però abbiamo il “travaso”, perché abbiamo attentati sia là sia qua.

D. – Come leggere il fatto che siano stati colpiti bersagli di vita quotidiana e - come ha scritto molta stampa - fortemente simbolici del cosiddetto “stile di vita occidentale”, cioè una sala concerti rock, lo stadio, un McDonald’s…

R. – Sono simboli e bersagli della vita di ogni giorno, perché sono ristoranti, marciapiedi, stadi. Quindi non c’è più, come nei momenti precedenti, un attacco a dei simboli che potevano essere la rivista “Charlie Hebdo” che faceva le vignette o – nel caso del Canada – il Parlamento, dei simboli del potere ma che non toccano la gente comune, che può pensare legittimamente di continuare ad andare per strada e fare la propria vita. La novità, il ‘salto di qualità’ è questo: da un lato, una serie di attacchi sinergici e concomitanti, dall’altro un attacco alla vita normale delle persone che riporta – e non dobbiamo dimenticarlo – a quanto succede ogni giorno in Paesi del Medio Oriente, dove la gente va al mercato e salta in aria al mercato, oppure va a pregare e salta in aria mentre prega.

D. – Cioè il fatto di mirare alla popolazione e non ai cosiddetti obiettivi sensibili, direttamente, per di più alla vigilia di un appuntamento come il Vertice sul clima di Parigi…

R. – Questo, da un lato, ha una spiegazione tecnica, nel senso che dopo quello che è successo nei mesi scorsi gli obiettivi sensibili sono anche molto protetti; dall’altro lato, noi sappiamo già che quando c’è un attentato in Occidente, lo stesso numero di morti in Occidente rispetto a quando avviene in un mercato di Baghdad ha una reazione e una moltiplicazione mediatica non comparabile. In più, se ciò avviene andando a colpire persone in strada, il senso di paura – che è quello che questi vogliono creare: il senso di paura nella popolazione – si accresce, cioè il senso di “non protezione”. E se c’è senso di paura i governi sentono il dovere di intervenire: e qui andiamo al tema del “che fare”. Perché se si interviene con politiche e azioni corrette questo dramma può avere, alla fine, un risultato positivo; se invece perdiamo la freddezza e, presi dalla necessità nei vari Paesi, da parte dei vari governi, di dimostrare che si è forti, che si fa qualcosa, anche per contrastare i partiti xenofobi, rischiamo di produrre più mostri e complicare il quadro.

D. – Tra l’altro, le testimonianze dei sopravvissuti riferiscono che questi terroristi che hanno sparato erano “bianchi, giovani e sembravano soldati delle forze speciali”…

R. – Ma poniamo anche che questi giovani, “bianchi o colorati” che fossero, fossero di seconda generazione, delle banlieux, reclutati tra marocchini, tunisini, eccetera, noi sappiamo però che in Francia un cittadino su 10 proviene da questi Paesi. Ci sono sei milioni di persone di seconda e terza generazione. Quindi noi abbiamo visto sette-otto giovani che hanno ucciso 150 francesi; tra questi 150 francesi, se si rispetta la proporzione della popolazione francese, ci sono 15 maghrebini-tunisini-marocchini uccisi.

D. – La rivendicazione dell’Is dice: “Ora tocca a Roma, Londra e Washington”. Cosa significa?

R. – L’Is, in questo momento, mette il cappello – essendo la sigla più forte – su tutto ciò che succede. Non sappiamo se si tratta dell’Is, di cellule di al Qaeda impazzite, di cellule di al Qaeda alleate all’Is, di al Nusra o altro. Che poi l’Is, in queste rivendicazioni, dica: “Ora tocca a Roma, Washington…”, lo dice da mesi, addirittura lo scrive nella sua rivista “Dabiq”. Fa parte di questa logica di creare paura e, creando paura, creare reazioni e auspicare che le reazioni vadano nella direzione di una contrapposizione Occidente-Islam, che è quello che loro vogliono per dimostrare alla popolazione dell’Islam che hanno ragione loro, con le loro tesi, a creare una contrapposizione.








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