2015-11-21 12:49:00

In Etiopia un meeting per battere le malattie della povertà


In Etiopia, ad Addis Abeba, è in corso un convegno internazionale per discutere delle malattie ancora da debellare nei Paesi in via di sviluppo. La sfida è combattere da una parte la povertà che porta a contrarre malattie rare, dall’altra migliorare le condizioni igieniche per non morire più con patologie ormai trascurabili in Europa. Veronica Di Benedetto Montaccini ha chiesto ad Aldo Morrone, presidente dell'Istituto Mediterraneo di Ematologia, quali sono le prospettive di ricerca per contrastare questa piaga che colpisce ancora due miliardi di persone:

R. – Il Convegno internazionale abbiamo deciso di organizzarlo in territorio etiopico partendo dalla capitale Addis Abeba e poi spostandoci al confine con l’Eritrea perché è una zona dove le malattie si diffondono drammaticamente e in questo modo possiamo mostrare ai vari ricercatori internazionali che intervengono con noi in questo convegno quello che può fare l’Occidente per contrastare la diffusione delle malattie della povertà che qui vengono chiamate “Neglected Tropical Diseases” e che colpiscono oltre due miliardi di persone nel mondo, determinando la morte di oltre 400 milioni.

D. – Il Nobel per la Medicina è stato assegnato a ricercatori che si sono impegnati contro le malattie della povertà. Quali sono queste malattie, e rappresentano effettivamente una piaga ancora oggi?

R. – Sono molto contento che il Premio Nobel per la Medicina quest’anno sia stato assegnato a tre ricercatori che hanno lavorato soprattutto sull’individuazione di un farmaco – l’ivermectina – che può contrastare e guarire quella che viene chiamata “la cecità dei fiumi”: l’oncocerchiasi, la filariasi, la leishmaniosi e a un’altra ricercatrice su un farmaco per far guarire dalla malaria, l’artemisina. Queste sono malattie che in questa area del mondo uccidono milioni di persone dopo aver distrutto la loro vita perché prima ancora di ammalarsi con febbre alta, diventano cieche. Ora si tratta però di far sì che questi farmaci possano essere alla portata di tutti, anche delle persone più povere che sono la maggioranza in quest’area del mondo.

D. – Malattie curabili in Occidente sono ancora mortali in Paesi in via di sviluppo. Perché succede ancora questo?

R. – Dall’ipertensione arteriosa al diabete all’ulcera gastrica, a problemi cardiocircolatori, a problemi polmonari come una polmonite o una bronchite, ma mentre in Occidente sono facilmente guaribili, qui diventano drammatiche. Uno, perché vengono diagnosticate tardivamente; due, perché non ci sono i farmaci; tre, non ci sono gli ospedali dove possono essere ricoverate queste persone. Noi abbiamo costruito e aperto alle persone più povere tre ospedali in quest’area del mondo, e tutte e tre ai confini con l’Eritrea dove sono presenti centinaia di migliaia di rifugiati eritrei fuggiti dal loro Paese, molti dei quali sono in attesa di poter attraversare i confini con il Sud Sudan e avviarsi verso quel terribile percorso che potrebbe portarli in Libia e poi in gran parte a morire nel Mediterraneo. La nostra presenza tende ad aiutarli a rimanere qui, a curarli, a fare in modo che abbiano un futuro invece di affrontare il rischio di morire.

D. – Quali sono le misure concrete per debellare queste malattie?

R. – Noi dobbiamo fare un piano, come fu fatto dopo la guerra per l’Europa: il cosiddetto “Piano Marshall”. Bisogna che gli studiosi, i ricercatori delle università dei Paesi occidentali – qui al convegno internazionale sono rappresentati oltre 22 Paesi occidentali – si mettano insieme e investano risorse professionali, risorse finanziarie e soprattutto risorse strutturali per far sì che anche in questa parte del mondo ci sia un futuro di dignità soprattutto per donne e bambini. La gravidanza diventa sempre più un pericolo di morte, la nascita diventa un elemento pericoloso per le mamme e per i bambini. Per questo abbiamo aperto dei centri materno-infantili dove le donne possano partorire gratuitamente con l’assistenza di personale locale qualificato e preparato da noi. Questo vuol dire dare futuro, dignità e salute a queste popolazioni e in questo modo darle anche all’Europa.








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