2015-11-21 14:56:00

Mons. Mogavero: finalmente si sente voce dell'islam moderato


"Dopo gli attentati di Parigi è più che mai necessario lavorare per un’Europa più accogliente e un Mediterraneo che sia ponte e non confine". Lo afferma il movimento ecclesiale “Rinascita Cristiana” che, con il “Mouvement International d’Apostolat des Milieux Sociaux Indépendants”, organizza fino a domani a Pozzallo (Ragusa), il colloquio “Mediterraneo: una strada nel mare. Migrazioni di popoli, culture e religioni”. L’obiettivo dell’incontro, che vedrà la partecipazione di delegati provenienti da Italia, Francia, Belgio, Malta, Portogallo e di alcuni rappresentanti del Consiglio d’Europa e sarà concluso dal cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti, è infatti quello di trovare modalità per informare sulla realtà delle migrazioni e concordare linee di azione comuni in Europa. In un messaggio inviato agli organizzatori, mons. Nunzio Galantino, segretario generale delle Conferenza Episcopale Italiana, sottolinea come "oggi il Mediterraneo rischia di ritornare ad essere un muro, una barriera per difendere i confini d'Europa, anziché ‘il Lago di Tiberiade’, sognato da La Pira, originario di Pozzallo, dove sentirsi sulla stessa barca, alla scuola del Maestro”. Al microfono di Luca Collodi, mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo.

R. – I fatti di Parigi, così come fatti analoghi, rendono sempre nuovo il lavoro che bisogna fare per creare una mentalità che non si lasci condizionare dalle emozioni immediate. Io noto con estremo piacere come in questi giorni si sia levata – finalmente, devo dire! – la voce dell’islam moderato che sta prendendo opportunamente le distanze da queste frange fondamentaliste e terroriste che non rappresentano tutto l’islam, anzi: non lo rappresentano proprio. Però, bisogna che il nostro lavoro, soprattutto sotto il profilo dell’informazione corretta e sotto il profilo educativo, vada avanti in maniera incessante, perché la migrazione non è un incidente di percorso che si può pensare di bloccare in un modo o nell’altro. Abbiamo visto quello che è successo in questi mesi: quando il Mediterraneo è diventato un sentiero non più percorribile, si è aperta la via balcanica. E così succederà se anche questa incontrerà ostacoli e difficoltà.

D. – Come procede il colloquio che lei tiene con i vescovi e i pastori del Nord Africa, del Maghreb in particolare?

R. – Per loro, l’islam non è un incubo: per loro l’islam non è l’assedio religioso che li costringe a stare continuamente sulle difensive. I vescovi del Maghreb vivono un’esperienza che è molto istruttiva, da questo punto di vista: loro vivono il clima, l’atteggiamento di una Chiesa che si pone accanto, che non ignora le difficoltà, che sotto il profilo culturale è estremamente aperta e che nel profilo antropologico, umano del servizio non si nega a nessuno.

D. – Creare nel Mediterraneo un ponte che possa portare i migranti in Europa: il problema è che questo dipende poi dall’assunzione di responsabilità dei singoli Paesi europei, che al momento non c’è …

R. – Non c’è proprio! Non c’è una strategia, non ci sono prospettive. Io credo che l’errore metodologico più grave che sta facendo l’Europa e l’Occidente in genere è quello di non guardare le cose con una proiezione di medio-lungo termine, cioè guardiamo l’emergenza, cerchiamo di tamponare l’emergenza, cerchiamo di arrabattarci arrampicandoci a volte sugli specchi dell’ordine pubblico, del problema del lavoro … tutti problemi che nella configurazione con cui vengono presentati sui media sono problemi falsi o falsamente impostati; e dimentichiamo – per esempio: un numero per tutti – che fra una trentina d’anni, nel 2050,l’Europa avrà bisogno di 50 milioni di lavoratori.

D. – Forse gli Stati dovrebbero investire su cultura e religione?

R. – Certamente. Anche sul piano economico, oltre che sul piano dei valori reali, perché ad esempio da questo punto di vista l’islam, quello vero – non l’islam fondamentalista o terroristico – l’islam vero ci dà una lezione di come il fatto religioso, incidendo sulla identità, contribuisca a fare un’identità precisa e forte. Oggi l’identità dell’Europa è un’identità fragile, debolissima nella quale il fatto religioso viene escluso per relegarlo agli ambiti strettamente privati, e tutto questo lo paghiamo anche in termini di capacità di dialogo con un mondo che, pur non avendo una pratica religiosa come la immaginiamo – il mondo musulmano – tuttavia sulla dimensione religiosa gioca parecchio della propria identità e della propria volontà di dialogo con chi sta attorno a loro.








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