2015-11-23 13:07:00

Argentina: Mauricio Macri presidente. Finisce era peronismo


Mauricio Macri, leader della coalizione di centrodestra “Cambiemos” ed ex sindaco di Buenos Aires, è il nuovo presidente dell’Argentina, eletto con il 51% dei consensi nel primo ballottaggio della storia elettorale del Paese sudamericano. Finirà così, il 10 dicembre prossimo – giorno del suo insediamento – l’era del peronismo-kichnerismo, durata 12 anni. Appena eletto, il neopresidente ha parlato di un “cambio epocale”. Roberta Barbi ne ha parlato con il giornalista argentino Alfredo Somoza, presidente dell’Icei, Istituto cooperazione economica internazionale:

R. – Queste elezioni argentine segnano effettivamente un cambio d’epoca, perché in qualche modo sono una specie di ritorno alla normalità dopo il default del 2001. Néstor Kirchner prima e sua moglie Cristina Fernández poi hanno governato la lunga uscita dal default del 2001. Questa volta gli elettori hanno deciso di voltare pagina, scegliendo, tra l’altro per la prima volta dal 1916, un presidente che non appartiene a nessuno dei due partiti tradizionali: quindi né al peronismo, né al partito radicale. Mauricio Macri effettivamente è una novità nel panorama politico argentino: per quanto sia stato già sindaco dell’importante città di Buenos Aires, della capitale del Paese, presidente del Boca Juniors e un importante imprenditore nel campo edile, non è una new entry nella politica, ma è sicuramente una novità clamorosa che sia diventato presidente della Repubblica, perché politicamente e culturalmente ha un profilo liberale, di centrodestra. È la prima volta che in Argentina, dal ritorno alla democrazia, vince un presidente che appartiene a quella parte dello spettro politico.

D. – Macri ha promesso un’Argentina con “povertà zero”, la sconfitta del narcotraffico e il miglioramento della qualità della democrazia. Sono queste le sfide che dovrà affrontare?

R. – Questo sono quelle sicuramente più sentite e riguardano i problemi che non ha potuto risolvere, in questi ultimi due anni, la presidente uscente. La prova del fuoco in realtà sarà un’altra e sarà molto più ravvicinata: quella, cioè, dell’economia. Lui eredita un Paese quasi senza riserve valutarie; con un’inflazione che si aggira attorno al 30 per cento annuo; con un mercato parallelo del dollaro nel quale questo vale oltre il 60 per cento in più rispetto alla quotazione ufficiale; ma soprattutto un Paese che è tecnicamente in default.

D. – Il Paese è stato recentemente declassato a “economia sommergente”, dopo il secondo default in 12 anni. Qual è la situazione reale?

R. – La situazione reale è che questo default - rispetto a quello del 2001 - è un default tecnico ed è dovuto al mancato raggiungimento di una mediazione con i grandi fondi d’investimento che hanno fatto causa contro l’Argentina a New York, vincendola. Quella partita adesso sarà sicuramente chiusa, costerà qualche miliardo di dollari al Paese, ma chiuderà definitivamente le conseguenze del default. Questo poterà a un miglioramento della qualifica del Paese a livello internazionale, ma fondamentalmente aprirà il mercato internazionale dei capitali all’Argentina, che in questo momento le è precluso: una cosa di cui ha urgente bisogno l’Argentina, che non riceve investimenti esteri da oltre 10 anni. In questo negoziato con i fondi a New York si giocherà buona parte del futuro del governo Macri. Il secondo punto, sempre in campo economico, riguarda appunto l’inflazione, che sta erodendo il livello di vita, che era migliorato in questi anni, ma che da due anni a questa parte viene eroso dall’inflazione, che è ad oltre il 25 per cento e che non è mai stata riconosciuta come tale dal governo uscente.

D. – La ricetta che dovrà adottare il nuovo governo è, dunque, quella dell’austerità?

R. – Più che dell’austerità, l’Argentina si pone il problema delle entrate: in realtà l’Argentina non è un Paese che spende tanto attualmente, dopo anni e anni di tagli - prima all’epoca del governo Menem che privatizzò buona parte dell’apparato pubblico e poi dopo il default per ovvi motivi - lo Stato argentino è piuttosto “magro”, anche se devo dire che si è un po’ allargato, in questo ultimo mese, con delle assunzioni fatte dal governo uscente, immaginando che avrebbe perso, ma sono assunzioni che penso non saranno riconfermate da questo governo. L’Argentina, dopo quasi 7 anni con una crescita tra il 5 e il 7 per cento annuo dopo il default, sono due anni che è praticamente in recessione e che non cresce più e soprattutto non cresce più, perché da quando è ritornata a ripiombare nel default tecnico è rimasta un po’ una “appestata” per la comunità internazionale. A questo si è aggiunto l’errore della politica dei cambi, che ha bloccato molti investimenti, perché chi investe in Argentina in questo momento non riesce a portarsi via i dollari. Macri sicuramente agirà liberalizzando questi aspetti che erano stati congelati, nella speranza che riparta il ciclo della crescita. Se l’Argentina dovesse tornare a crescere il 2-3-4 per cento, non ci sono grandi problemi macroeconomici. Certamente l’Argentina è in un contesto – quello sudamericano – che attualmente sta scontando la crisi internazionale.








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