2015-11-23 13:49:00

Myanmar: frana in miniera, oltre 100 vittime


Povera gente che passa la vita a scavare tra montagne di scarti, alla ricerca di qualche frammento di giada da rivendere. Sono questi i minatori improvvisati che domenica hanno perso la vita a causa di una frana di materiale di risulta in una miniera nello Stato di Kachin, nel Nord del Myanmar. Il bilancio ha superato i cento morti e almeno altrettanti sarebbero i dispersi. La tragedia si lega al fiorente business di estrazione ed esportazione della giada, fonte di enormi guadagni per un cerchia ristretta di affaristi legati alla vecchia giunta militare. Marco Guerra ne ha parlato con Francesco Montessoro, docente di Storia e istituzioni dell’Asia all'Università statale di Milano:

R. – Si tratta di un fenomeno comune a tutti i Paesi poveri in realtà, nel senso che una buona parte dei minatori di giada di quest’area del Nord-Est della Birmania sono semplicemente dei disperati, dei poveri che cercano di raccogliere qualcosa in aree che sono ampiamente sfruttate da società che utilizzano mezzi meccanici per l’estrazione della giada. Abbiamo a che fare, dunque, con migranti, con persone che trovano un riparo occasionale nei pressi di giacimenti minerari ampiamente già sfruttati. La caduta di materiali che sono frutto di precedenti scavi è stata devastante, perché ha interessato un insediamento di capanne, di rifugi occasionali. In realtà, si tratta di qualcosa che rinvia più precisamente alla natura dell’economia di un Paese come il Myanmar, che è senz’altro ancora condizionato, a dispetto delle recentissime elezioni, dal ruolo preminente delle forze armate.

D. – Infatti, il business della giada è controllato da una cerchia di affaristi legati alla vecchia giunta militare. Nonostante la transizione politica questa classe dirigente continua ad esercitare un certo peso nel Paese?   

R. – E’ naturale, anche perché le forze armate hanno impresso una profonda trasformazione della società, a partire già dagli anni ’60, e hanno assunto un ruolo preminente in attività civili. Sono i militari stessi in carica, infatti, oppure, a partire dagli anni ’90, più precisamente i familiari, l’entourage familiare, di coloro che avevano responsabilità militari maggiori, che hanno intrapreso attività economiche e le hanno controllate per fini che sono eminentemente privati. Si tratta, dunque, dello sfruttamento di giacimenti che erano proprietà del demanio, proprietà dello Stato da parte di uomini legati naturalmente alle forze armate.

D. - Secondo un rapporto dell’Organizzazione non governativa Global Witness, il commercio di giada ammonterebbe a 31 miliardi di dollari annui. Tale ricchezza non raggiunge però la popolazione e, infatti, l’Ong l’ha definita la più grande rapina di risorse naturali della storia moderna…

R. – Sì, è difficile però valutare la correttezza di questi dati, perché una cifra di questo genere potrebbe equivalere quasi o circa alla metà del prodotto interno lordo birmano. Ma si tratta, comunque, di risorse estremamente ingenti. Bisogna considerare che il mercato della giada è sostanzialmente cinese, perché per ragioni culturali la giada è la pietra preziosa per eccellenza dei cinesi e geograficamente non è difficile contrabbandare giada dallo Stato Kachin, dalla Birmania del Nord, alla Cina, perché è un Paese frontaliero. Da questo punto di vista, dunque, gli affari sono stati sicuramente ingentissimi negli ultimi decenni.

D. – Sì, infatti l’esportazione è quasi rivolta tutta verso la Cina…

R. – La giada viene lavorata e ha un mercato che è prima di tutto un mercato cinese.

D. – Ci sono anche danni ambientali legati a questo fenomeno?

R. – La descrizione, le fotografie, le immagini che si hanno della miniera, che è stata teatro del disastro, sono terrificanti. Queste miniere, infatti, hanno una dimensione enorme sotto il profilo territoriale e hanno suoli sostanzialmente scorticati da mezzi meccanici. Coloro che sono morti non lavoravano nella miniera, erano coloro che si accontentavano di una ricerca tra i detriti, ai margini della miniera, che ci dice tuttavia quanto sia rilevante la produzione di giada in queste regioni.








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