2015-11-25 14:14:00

Attentato in Tunisia. Essebsi dichiara lo stato d'emergenza


Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha condannato l'attentato di ieri al bus della guardia presidenziale, nel centro di Tunisi, costato la vita ad almeno 15 persone, diversi i feriti. Nel Paese intanto è stato d’emergenza. Massimiliano Menichetti:

E’ il presidente tunisino Beji Caid Essebsi in un breve discorso trasmesso in diretta tv ad annunciare lo stato di emergenza di 30 giorni e il coprifuoco a Tunisi dalle 21 fino alle 5 del mattino. Sono le prime misure prese dopo l'attentato nella capitale contro il bus costato la vita a 15 guardie presidenziali. Per ora non ci sono rivendicazioni. Essebsi ha parlato di stato di guerra, chiedendo il sostegno della comunità internazionale. Abbiamo l'Is alle porte - ha detto - ribadendo che il Paese non si farà minacciare dal terrorismo. Dura la condanna delle Nazioni Unite per il gesto criminale che evidenzia la destabilizzazione dell’area e riposta alla memoria le recenti stragi di matrice jihadista sulla spiaggia di Sousse e al museo del Bardo. L'Alto rappresentante per la politica estera della Unione Europea, Federica Mogherini, ribadisce che l’Ue non risparmierà alcuno sforzo per assicurare il successo della transizione democratica tunisina.

Per un'analisi della situazione abbiamo intervistato Massimo Campanini, professore di Islamistica e Storia dei Paesi islamici all'Università di Trento:

R. – La Tunisia sta  attraversando un momento di estrema precarietà, perché il fatto di essere stato l’unico Paese arabo coinvolto dalle cosiddette “primavere” ad avere imboccato una strada democratica non ha comunque risolto tutti i problemi interni ed esterni. Quindi, il tentativo di destabilizzare la Tunisia, che in questo momento appare come l’elemento più debole nel Nord Africa, è indubbiamente e potenzialmente funzionale a un disegno di destabilizzazione generale dell’area mediorientale e più in generale dell’area mediterranea, che sembra perseguito dallo Stato islamico.

D. – Il presidente tunisino Essebsi ha blindato i confini con la Libia, ha chiesto l’intervento della comunità internazionale. Ma la situazione libica ancora destabilizzata è simile a quella tunisina?

R. – Il destino della Tunisia e quello della Libia sono sempre stati diversificati. I due Paesi, sia dal punto di vista della composizione sociale sia dal punto di vista della tradizione storica a lungo termine, hanno avuto appunto storie diverse. Mentre la Tunisia è un Paese che ha sempre avuto in qualche modo una sua identità fin dal Medioevo, fin dall’epoca dei califfati degli Assiri nel 16.mo secolo, la Libia è stato un Paese costruito dal colonialismo italiano sulla carta, mettendo insieme Cirenaica, Tripolitania e Fezzan, un insieme molto composito di tribù e tendenze. Quindi, alla caduta di Gheddafi, proprio nella mancanza di identità nazionale, nella fragilità dei legami reciproci che sono ancora molto spesso determinati su base tribale, la strategia destabilizzatrice dell’Is ha trovato terreno fertile.

D. – Altro Paese in questi mesi, in questi giorni, sotto attacco del terrorismo è l’Egitto: il presidente al-Sisi aveva promesso il pugno duro. Secondo lei, come stanno andando le cose?

R. – Al-Sisi sta cercando di applicare il pugno duro non solo perché è un generale e quindi è un po’ una tattica dei militari, ma anche perché da una parte ha paura perché, oggettivamente, teme le infiltrazioni terroristiche dall’interno e dall’esterno, dall’altra perché il Paese non ha più quell’autorevolezza sul piano internazionale che gli consente di avere una politica autonoma. Negli ultimi mesi, al-Sisi si è mosso molto spesso nella ruota dell’Arabia Saudita, però a mio parere c’è un difetto originale in questo: l’Egitto, diversamente dalla Tunisia, non ha tentato una via democratica, perché nel momento in cui, seppure con tutti gli errori che sono stati commessi, i Fratelli musulmani hanno cercato in modo molto approssimativo  di mettere in piedi un governo, questo tentativo è stato bloccato immediatamente da un intervento censorio dell’esercito.

D. – Ma se c’è interesse a destabilizzare, gli attentati in Libia, Somalia, Egitto, Mali – solo per fare alcuni esempi – vengono da un’unica regia? Quella dell’Is, del Califfato?

R. – La mia risposta è tendenzialmente “no”. Gli attentati hanno anche delle ragioni e motivazioni locali, perché il Califfato potenzialmente dovrebbe essere un’idea che compatta la comunità. Invece, dal punto di vista tattico questa politica di opposizione tra fazioni diverse – il vero, il falso musulmano… - è qualcosa che stride con l’obiettivo strategico finale dell’unità della comunità che poi è il significato del Califfato.








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