2015-11-25 12:58:00

Jet abbattuto da Turchia: Mosca, conseguenze ma non guerra


È stato messo in salvo e si trova in una base russa vicino Latakia, in Siria, uno dei due piloti del jet russo abbattuto ieri dall’aviazione turca, perché – secondo Ankara – avrebbe sconfinato dai cieli della Siria a quelli della Turchia. È dunque terminata l'operazione ordinata da Mosca e durata 12 ore per ricuperare il militare; l’altro pilota era stato invece ucciso da un colpo sparato da terra mentre si paracadutava dall’aereo.

Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha precisato che nel nord ovest della Siria - dov’è caduto l’aereo e dove i caccia russi stanno bombardando da giorni - “non ci sono terroristi” del sedicente Stato Islamico (Is) e che il proprio Paese “non ha mai favorito le tensioni e le crisi”. Ma il Presidente russo Vladimir Putin ha assicurato che utilizzerà “tutti i mezzi a sua disposizione per garantire la sicurezza”, rafforzando i sistemi di difesa anti missilistica nella base militare russa di Khmeimim, in Siria, e annunciando “conseguenze tragiche”. Quali potrebbero essere tali conseguenze, visto che il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov ha detto che Mosca “non farà guerra alla Turchia”? Giada Aquilino lo ha chiesto ad Aldo Ferrari, responsabile ricerche su Russia, Caucaso e Asia centrale dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) di Milano:

R.  – Dietro l’espressione “conseguenze tragiche” non credo possa essere letta una minaccia bellica. La Russia è comunque una potenza prudente in politica estera, anche se spesso non ne approviamo i passi. La Turchia fa parte della Nato: un conflitto sarebbe impensabile. Tanto più che i due Paesi hanno importanti collaborazioni soprattutto nella sfera economica. Naturalmente ci saranno delle difficoltà, ma non interpreterei in maniera drammatica questa affermazione.

D. - Negli ultimi anni Turchia e Russia, pur rimanendo su posizioni differenti, si erano proprio avvicinate dal punto di vista per esempio commerciale: perché allora abbattere un jet di un Paese comunque non nemico, al di là delle ragioni degli sconfinamenti aerei?

R. – Credo che questo ordine di abbattimento vada inserito nella politica estera muscolare della Turchia degli ultimi anni. Per molti decenni, la Turchia ha potuto godere della sua vantaggiosa posizione geopolitica come baluardo in epoca bipolare contro l’Unione Sovietica, adesso come baluardo - reale o supposto - contro il radicalismo islamico. Questo molto spesso le ha consentito di portare avanti politiche che per altri Paesi sarebbero state facilmente condannabili. Purtroppo la Turchia è uno dei Paesi responsabili, tra i più responsabili, dell’aggravamento della crisi siriana: senza la Turchia non sarebbe stato possibile il passaggio di uomini, rifornimenti, al sedicente Stato Islamico. Probabilmente la Russia esagera nel dire che questo abbattimento conferma un’alleanza tra Turchia e Is: non c’è un’alleanza ma sicuramente un sostegno informale e indiretto. Ed Erdogan in questa maniera si è preso un grosso rischio: è riuscito almeno in parte a impedire quel riavvicinamento tra la Russia e l’Occidente che stava un po’ cambiando la situazione - non solo militare - in Siria, ma anche a livello globale l’isolamento della Russia dopo la crisi ucraina stava venendo meno e questa difficoltà con la Nato, accorsa a sostenere le ragioni dell’alleato turco, evidentemente pregiudica l’evoluzione della situazione.

D. – L’Alleanza atlantica ha invitato a una “de-escalation” delle tensioni. La crisi ucraina può essere una chiave di lettura di quanto sta avvenendo?

R. – Potrebbe e dovrebbe esserlo. Il problema è che la crisi ucraina è stata a mio giudizio gestita malissimo in primo luogo dagli europei e dagli occidentali, che hanno addossato alla Russia tutte le responsabilità di quanto avvenuto, nascondendo le proprie, e escludendo la Russia dai processi decisionali globali, cosa che l’Occidente e in generale lo scenario internazionale non possono permettersi. Ci sono naturalmente differenze, divergenze reali, ma non è possibile escludere questo Paese.

D. – Gli incontri di Vienna hanno fatto nascere la speranza che possa scattare una qualche transizione a Damasco. Quanto accaduto al jet russo può minare i passi verso tale transizione?

R. – Purtroppo sì perché è un episodio gravissimo che ha visualizzato il contrasto che già si conosceva fra la Russia e la Turchia, ma anche tra la Russia e l’Occidente. E’ chiaro che le potenze coinvolte in Siria - Russia, Turchia, Stati Uniti, Francia, Inghilterra - hanno obiettivi e visioni molto differenti tra loro. Trovare un equilibrio, trovare anche un comando militare comune è davvero difficile alla luce delle divisioni che esistevano e che la crisi di ieri ha ulteriormente aggravato.








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