2015-11-28 13:02:00

Il Papa ha ricevuto a Kampala il Presidente sud-sudanese Salva Kiir


Papa Francesco ha ricevuto ieri sera nella nunziatura di Kampala il Presidente del Sud Sudan, Salva Kiir. Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha sottolineato che l'udienza rappresenta "un gesto speciale" che testimonia l'attenzione con la quale Francesco segue le travagliate vicende di questo Paese che è il più giovane dell'Africa (indipendente dal luglio 2011) e ha tra i suoi fondatori un vescovo cattolico, mons. Cesare Mazzolari, scomparso poco dopo la nascita del Sud Sudan. Nei 5 anni di vita, infatti, non c’è mai stata pace per il Sud Sudan, nonostante gli ideali che lo hanno ispirato fossero proprio quelli della pacificazione tra le etnie e con il Sudan. Il conflitto contrappone il Presidente Salva Kiir da un lato e dall’altra la fazione ribelle che fa capo all’ex vice Presidente, Riek Machar. Le parti, lo scorso agosto, avevano sottoscritto un’intesa per il cessate il fuoco e la creazione di un governo di unità nazionale, ma di fatto sono numerose le violazioni alla tregua. Sull'importanza di questo incontro e sul processo di pace nel Paese africano, Elvira Ragosta ha intervistato Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni africane all’Università di Torino:

R. – E’ importante sotto due profili, perché mostra l’attenzione speciale che Papa Francesco ha dimostrato nei confronti del Sud Sudan e poi per la gravità della situazione nel Paese, che da due anni è in guerra con uno sforzo enorme, costante, da parte della comunità internazionale, per cercare di far sì che i contendenti trovino una soluzione e smettano di combattere. Sforzo che, continuamente, viene frustrato, perché un susseguirsi di accordi di pace, di cessate-il-fuoco, sono stati siglati dai contendenti e regolarmente violati, e sul terreno si combatte.

D. – L’Unicef denuncia che circa 16 mila bambini sono stati arruolati dalle parti in conflitto, che, dal suo inizio, ha provocato 1500 vittime tra i minori. Cosa può dirci sulla situazione umanitaria nel Paese?

R. – Dal 2013, quando il conflitto è iniziato, si parla anche di decine di migliaia di morti e oltre 2 milioni di profughi e di sfollati, che vivono in condizioni sempre più gravi. Mezzo milione di bambini non riesce più ad andare a scuola, perché è in fuga o perché le scuole sono state distrutte. In più ci sono delle resistenze da parte del governo a consentire ai soccorsi internazionali di raggiungere soprattutto la parte di popolazione più a rischio. La carestia che si temeva nei mesi scorsi è arrivata. Un rapporto recente, di poche settimane fa, delle Nazioni Unite racconta di persone, di famiglie intere che vivono mangiando erbe e radici per settimane, in attesa che qualcuno li raggiunga e si prenda cura di loro. Purtroppo, un conflitto di potere ai vertici dello Stato è poi degenerato in una guerra civile, in uno scontro etnico che vede contrapposte soprattutto le due maggiori etnie: i dinka e i nuer. E questo dilagare poi di scontri, che coinvolgono la popolazione, è forse il danno peggiore. Risanare, infatti, una situazione di crisi di questo genere richiede – lo dicono i vescovi, lo dicono le agenzie umanitarie – non mesi, ma anni, anche nell’ipotesi, per il momento non molto probabile, di un vero cessate-il-fuoco e di un vero accordo di pace. Vedremo che cosa è riuscito a fare Papa Francesco nei quindici minuti in cui ha incontrato il Presidente del Sud Sudan, Salva Kiir.  

D. – Il Sud Sudan è il più giovane dei Paesi africani: ha raggiunto l’indipendenza nel 2011. Tra i suoi fondatori, anche il vescovo cattolico mons. Mazzolari. E’ un Paese nato proprio con gli ideali di pacificazione tra le diverse etnie. Eppure, nei suoi pochi anni di vita è un Paese che non ha conosciuto la pace. Al di là delle differenze tra le etnie, quali sono i motivi per cui si combatte questa guerra civile?

R. – Tutto si è originato ai vertici dello Stato. Questo Paese per prosperare, per risollevarsi anche rapidamente da decenni di guerra, aveva solo bisogno che chi ha preso la guida del Paese evitasse due rischi: la corruzione e il tribalismo. Bastava davvero questo, perché il Paese è ricchissimo di materie prime, in particolare di petrolio. Purtroppo, quasi subito, un’etnia – i dinka – che ha espresso il presidente della Repubblica, Salva Kiir, ha incominciato ad accentrare nelle proprie mani il potere politico. L’altra etnia – i nuer – la seconda etnia del Paese, ha mal tollerato questo e nell’agosto del 2013 è scoppiata la crisi, quando il portavoce dei nuer, Riek Machar, che all’epoca era vice Presidente, ha annunciato di volersi candidare alle prossime elezioni presidenziali. La reazione del Presidente è stata di dimetterlo immediatamente e poche settimane dopo è scoppiato il conflitto.








All the contents on this site are copyrighted ©.