2015-11-28 15:00:00

Padre Lombardi: entusiasmo africano per Papa Francesco


Dopo il Kenya, l’Uganda. Cambiano i Paesi ma è la stessa gioia che accoglie Papa Francesco nel suo primo viaggio in Africa. Il nostro inviato in Uganda, Filomeno Lopes, ha chiesto al direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, quale significato abbia questo viaggio in un Paese già visitato da Paolo VI e Giovanni Paolo II:

R. – Come dici bene, il Papa viene in Uganda in continuità con i suoi predecessori, proprio perché l’Uganda è la terra dei martiri africani, i primi martiri africani dell’era moderna, e con una testimonianza che ha per la Chiesa africana una grandissima importanza e non solo per l’Uganda, ma anche per gli altri Paesi. Quindi il fatto di ricordare la testimonianza di questi martiri, di riportarla continuamente alla memoria e farne comprendere il significato permanente è qualcosa che è un gran servizio per la Chiesa e il Papa intende farlo. Ricordiamo che questo tema del martirio il Papa lo sente molto: il viaggio in Corea – per esempio – per i martiri coreani, è stato veramente un grande viaggio in cui il tema del martirio è stato assolutamente dominante. E poi in questa testimonianza dei martiri africani noi abbiamo quella dimensione ecumenica che è molto cara al Papa. Lui parla sempre dell’ecumenismo del sangue: il fatto che siano insieme, cattolici e anglicani, che nello stesso modo e nelle stesse circostanze hanno dato la vita, dice che abbiamo una stessa fede e siamo chiamati da Gesù Cristo alla stessa testimonianza, alla più grande testimonianza che è quella dell’amore superiore alla vita stessa. Quindi questo è centrale – direi - per il viaggio in Uganda. Però il viaggio in Uganda è anche un viaggio in un Paese dell’Africa che ha problemi comuni con tanti altri problemi dell’Africa. Io sono rimasto già colpito, arrivando in Uganda dal Kenya con il Papa, nel capire che i temi che egli ha lanciato durante il viaggio in Kenya continuerà ad approfondirli durante il viaggio in Uganda, anche se con situazioni e sfumature diverse in Centrafrica. Ci sono dei problemi comuni e alcuni aspetti sono fondamentali, come la gioventù: i giovani, la popolazione – solo guardandoci attorno – vediamo che è giovanissima. I problemi della gioventù in Africa sono drammatici. Li abbiamo sentiti nello Stadio di Kasarani a Nairobi e lo sentiremo qui a Kampala. Il Papa incoraggia i giovani, affronta con loro e partecipa con loro ai difficili problemi che hanno e che sono il futuro loro e che quindi sono il futuro degli africani. Poi ci sono i problemi che sono attorno a noi, evidenti, di povertà, di corruzione, di sanità, di dignità della persona in tantissime forme. E il Papa li affronta con questi suoi incontri simbolici con i poveri, con le persone sofferenti nelle istituzioni di sanità … Questo è un discorso che continua. Quindi io vedo l’Uganda come un anello di una catena di questo viaggio africano, che sarà molto ricco e che andrà approfondendosi man mano.

D. – Come ha visto la prima accoglienza?

R. – Io sono rimasto stupefatto. Nairobi è una grande città ma non è concentrata o meglio le zone in cui noi siamo passati non sono molto concentrate e quindi lungo le strade non è che ci fossero delle grandi folle… Ci sono state le grandi folle nello slum di Kangemi, che naturalmente è densissimamente popolato e lì la gente si era ammassata. Ma qui abbiamo fatto 40-50 chilometri trovando gente in grande quantità lungo la strada e trovandola di notte: già al buio, quando il sole era tramontato, il Papa passava in una macchina chiusa, a grandissima velocità, e la gente c’era ugualmente e noi abbiamo sentiamo, io ho sentito – io ero su una macchina, naturalmente dietro al Papa – l’onda delle grida di gioia, dei canti, vedevo la gente che ballava, che si sbracciava nell’oscurità. Era una impressione molto, molto caratteristica. Direi che è una grandiosa accoglienza, anche se notturna e poco visibile con gli occhi: era una grandiosa accoglienza! Ne ho viste anche altre, ma questa mi ha molto colpita devo dire, anche per le sue dimensioni e per il suo entusiasmo tipicamente africano.

D. – Dopo l’Uganda sarà la volta anche della Repubblica Centrafricana: il suo predecessore Benedetto XVI aveva chiesto all’Africa e agli africani di essere “polmoni spirituali” di questa umanità, che affronta in questo momento tanti conflitti. Il fatto stesso che Papa Francesco abbia scelto la Repubblica Centrafricana e quindi un Paese in questo momento con problemi di pace come luogo per andare ad aprire la Porta Santa per questo Anno del Giubileo della Misericordia che significato può avere prima per gli africani e in secondo luogo anche per l’umanità come tale?

R. – Il significato mi sembra assolutamente evidente: come abbiamo visto che il Papa, anche in Europa, è partito dalle periferie e non dai Paesi più potenti, anche in Africa ha voluto intensamente fare il suo primo viaggio toccando un Paese – anzi devo dire che il Centrafrica è il primo a cui lui ha pensato – che ha particolari problemi in questo periodo, come sappiamo, in seguito ai conflitti e quindi un Paese molto travagliato ormai da tanti anni… Il Papa cerca naturalmente di farsi presente con chi ha più bisogno, con chi è più povero e soffre di più: allora ha pensato al Centrafrica e ha pensato ad aprire lì la Porta della Misericordia, facendo una piccola eccezione, un piccolo anticipo, che è però estremamente significativo: se lui vuole che tutti i popoli sperimentino che c’è la misericordia di Dio, l’amore di Dio per loro, allora vuole farlo sentire in particolare anche ad un popolo che soffre tanto come quello centrafricano, andando proprio al cuore dell’Africa, perché il Centrafrica è proprio fisicamente al centro dell’Africa, e farlo capire a tutto un continente che ha bisogno di incoraggiamento, di speranza, di sentire l’amore di Dio come incoraggiamento a trovare una strada per uno sviluppo degno, riconciliato, nell’amore e nella dignità.








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