2015-11-29 10:14:00

Padre Lombardi: la visita in Uganda nel segno dei Martiri


Al termine della visita in Uganda, seconda tappa del suo pellegrinaggio in Africa, un bilancio del nostro direttore al seguito papale, padre Federico Lombardi, al microfono del nostro inviato a Kampala, Filomeno Lopes:

R. – Qui in Uganda siamo rimasti tutti molto impressionati dall’accoglienza, dal calore dell’accoglienza, dall’entusiasmo e dalla quantità di gente anche sulle strade, favorita da un tempo migliore che in Kenya. Qui, infatti, non abbiamo avuto pioggia. C’era veramente un mare di gente lungo le strade, che cercava di vedere il Papa, di incontrarlo, anche solo sentirlo passare.  In realtà, infatti, non sempre poteva vederlo molto bene. Insomma, centinaia e centinaia di migliaia di persone, quindi, che hanno visto il Papa o si sono fatte comunque presenti nei suoi avvenimenti. Il tema centrale, molto bello, di questa visita evidentemente è stato quello del martirio, perché i martiri dell’Uganda sono i primi martiri dell’Africa moderna e sono dei testimoni, tutti laici, di una fede semplice, ma molto forte. Hanno subito delle sofferenze assolutamente spaventose e incredibili, per quella che è la nostra sensibilità attuale, e sono quindi considerati come dei veri ispiratori della fede cristiana in questi Paesi. Sono insieme cattolici ed anglicani, quindi sono cristiani, sono testimoni di Cristo. Il Papa ha fatto riferimento a questa testimonianza dei martiri come ispirazione comune per la vita della Chiesa, per i giovani, per i sacerdoti, per tutte le persone di questo popolo.  Quindi è stato un po’ il tono spirituale di questa giornata e direi che possa ritenersi spiritualmente al centro di questo viaggio in Africa. In fondo, questi martiri ugandesi sono sentiti da tutta l’Africa come martiri particolarmente significativi ed ispirativi.

D. – Poi, l’altro momento clou è stato l’incontro con i giovani. Come ha vissuto questa festa che hanno fatto al Papa?

R. – Gli incontri con i giovani sono sempre molto belli, perché i giovani si entusiasmano facilmente, spontaneamente, ed è un momento in cui il Papa si rende conto come una sua parola possa essere importante per orientare il futuro di questo Paese, di questo continente. I giovani infatti rappresentano effettivamente questo futuro. Sono giovani che hanno a che fare con problemi gravissimi. Quelle due testimonianze di oggi avevano a che fare con la prigionia per mano di guerriglieri che rapiscono i bambini, li terrorizzano e poi li fanno diventare loro adepti. La ragazza ha parlato dell’Aids e del vivere con l’Aids la sua vita di giovane donna. Sono problemi evidentemente grandissimi, cui se ne aggiungono poi anche tanti altri. Il Papa ha avuto la capacità di incoraggiare, come ha già avuto in Kenya, di dare speranza, di dire “siete davanti a delle grandi sfide, ma dovete riuscire voi a trasformare il negativo in positivo, a fare degli ostacoli delle occasioni per costruire qualcosa di più grande, di più bello e di nuovo: il futuro del vostro Paese, del vostro continente.” Quindi, direi proprio che il Papa ha fatto il suo servizio di ispiratore in modo meraviglioso per la gioventù di questo continente.

D. – Un altro momento, breve ma significativo, la visita alla Casa della Carità a Nalukolongo, che poi è uno dei momenti che il Papa predilige quasi sempre nei suoi viaggi apostolici…

R. – E’ una Casa della Carità che, però, è anche il primo luogo in cui è cominciata l’evangelizzazione dell’Uganda. Lì, infatti, i primi missionari hanno cominciato a fare la catechesi. Si vede, dunque, come l’evangelizzazione produca frutti di fede, ma anche di carità, di amore spontaneamente. E questa casa, che ospita un centinaio di persone di diverse età, di diverse nazionalità, di diverse malattie e infermità, è un luogo in cui l’amore cristiano si manifesta con particolare efficacia. Il Papa è passato anche a visitare alcuni singoli malati nelle loro stanze – i più gravi – baciandoli con molto affetto uno per uno. Questo incontro, però,  è un incontro simbolico, perché l’attività della Chiesa cattolica in Uganda, come anche in tutta l’Africa, ma in particolare in Uganda, nel campo della sanità, dell’impegno per i malati, è impressionante. Ci sono tantissime istituzioni, tantissime organizzazioni che si impegnano per il bene dei malati e la Chiesa dà un contributo alla vita di questa società dal punto di vista della sanità, anche in aspetti di frontiera importantissimi, come la cura dell’Aids, nell’andare incontro ai vari problemi che sono connessi con questa  gravissima malattia, che in Uganda ha avuto una diffusione impressionante e che però è stata riportata adesso sotto controllo negli anni recenti, proprio grazie all’impegno di tantissimi, tra cui la Chiesa cattolica, che ha aiutato anche a trovare le vie dei comportamenti morali e umani che sono i più efficaci nel combattere l’Aids, come la fedeltà coniugale, come il rifiuto della promiscuità e della molteplicità dei rapporti sessuali disordinati. Il modo più efficace di combattere l’Aids in Uganda è stato proprio nel portare avanti questi messaggi di formazione, di educazione ad una responsabilità nel comportamento delle persone.

D. – Il tema dei catechisti. Il primo luogo che il Papa è andato a visitare è stato il Santuario, dove li ha incontrati. Questo che cosa può significare?

R. – Significa che la Chiesa si rende conto che i missionari, i sacerdoti hanno un grande ruolo, ma i laici autoctoni sono poi le persone che costruiscono la Chiesa capillarmente e la fanno diventare Chiesa di popolo, la fanno entrare proprio nella vita, nelle famiglie. Senza il lavoro di catechesi la Chiesa africana non esisterebbe, come esiste. Si può naturalmente cercare di aggiornare i metodi, la formazione, quello che si vuole, ma che ci voglia un impegno ampio, deciso, da parte del laicato, perché la Chiesa cresca da un punto di vista della formazione, e della formazione della fede, è assolutamente fondamentale. Questo è stato detto con un gesto di incoraggiamento molto grande venerdì sera dal Papa a Munyonyo.

D. – Un ultimo incontro è stato quindi con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i seminaristi. Ci può dire brevemente com’è stato e qual è stato il messaggio principale che il Papa ha voluto lasciare?

R. – Il Papa è stato molto efficace. Ha raccolto il suo messaggio in tre parole, che sono: il ricordare, la memoria, che è fondamentale nel mantenere viva una vocazione religiosa sacerdotale, ricordare che si è stati chiamati. E qui lo ha applicato  ricordando anche la testimonianza dei martiri che è così viva nella Chiesa in Uganda e che non va dimenticata. Anzi, essendo ricordata come viva, la testimonianza dei martiri aiuta a mantenere la Chiesa forte, consapevole dell’importanza del suo impegno, del coraggio che deve avere nel testimoniare Gesù Cristo. Ricordare, quindi, essere fedeli:  fedeli  alla vocazione ricevuta, fedeli alla propria missione, fedeli alla chiamata, ad una missionarietà sempre dinamica, che ascolta lo spirito per affrontare delle sfide sempre nuove, che la Chiesa incontra nel mondo di oggi. Una fedeltà che è testimoniata molto bene anche dalla dedizione. Il Papa ha ricordato la dedizione delle suore della Casa della Carità che aveva appena visitato, e così via. E poi la preghiera, perché il Papa ricorda sempre che l’unione con Dio, il rapporto, il dialogo vivo con Cristo è l’origine, ma è anche la sorgente permanente di una vita dedicata nella fede  al servizio di Dio e degli altri. Se si insterilisce questa sorgente, poi piano piano si entra nella mondanità, si viene dominati da valori che non sono più quelli del Vangelo, ma quelli dell’interesse, dell’egoismo, del materialismo e quindi si perde la vivacità della testimonianza cristiana. Con tre parole, quindi, il Papa ha dato un messaggio molto efficace, molto legato come dicevo però all’esperienza dei martiri, che è stata al centro di questa giornata.

D. – E quindi domani la partenza verso la Repubblica Centrafricana, che è la preoccupazione di tutti in questo momento. Cosa ci può dire in proposito?

R. – Che siamo contentissimi di andare nella Repubblica Centrafricana. Era il grande desiderio del Papa e di tutti noi. Speriamo di poter svolgere lì proprio quella testimonianza di vicinanza, di amicizia, di incoraggiamento all’impegno per la pace che tutti desiderano.








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