2015-11-29 14:01:00

"Siamo tutti fratelli". Papa incontra gli sfollati di Bangui


“Tutti siamo tutti fratelli, per questo vogliamo la pace”. Con queste parole Papa Francesco ha salutato questa mattina i profughi del campo allestito nella parrocchia di St. Saveur a Bangui, che ospita quasi mille persone. “Noi dobbiamo lavorare e pregare e fare di tutto per la pace - ha detto il Papa - ma la pace senza amore, senza amicizia, senza tolleranza, senza perdono, non è possibile. Ognuno di noi deve fare qualcosa. Io vi auguro, a voi e a tutti i centrafricani, la pace, una grande pace fra voi. Che voi possiate vivere in pace qualunque sia l’etnia, la cultura, la religione, lo stato sociale”. Quella degli sfollati è una delle grandi emergenze che si vivono in Repubblica Centrafricana. A causa della guerra civile sono infatti oltre 440 mila gli sfollati all’interno del Paese mentre oltre 450 mila si sono rifugiati negli Stati vicini. Ascoltiamo la nostra inviata in Repubblica Centrafricana Romilda Ferrauto, al microfono di Michele Raviart:

R. – E’ stata una giornata veramente memorabile per gli sfollati di questa parrocchia. Sono tutti, infatti raccolti – circa 800 persone – in un terreno che si trova intorno ad una parrocchia di Bangui, la capitale. Gli adulti avevano vestiti colorati e l’associazione delle donne sfollate ha ballato al suono dei tamburi. Soprattutto i bambini, molto sorridenti - malgrado la loro povertà e malgrado il calore - molto numerosi anche, tenevano in mano dei pezzi di tessuto bianco sui quali c’erano scritte a mano delle parole come “verità”, “pace”, “perdono”, “giustizia”, “amore”, parole che Papa Francesco ha letto attentamente.

D. – Abbiamo visto Papa Francesco molto sorridente e molto colpito da questa accoglienza…

R. – Molto toccato da questa accoglienza grandiosa. Il Papa è stato salutato dai tre sacerdoti della parrocchia con attorno dei bambini, degli scout. Si è fermato a stringere le mani, ha accarezzato i bambini, ha salutato i portatori di handicap, e poi ha preso il microfono in mano e si è espresso in italiano, tradotto in sango, la lingua che unisce questa popolazione, formata da 80 etnie. Il Papa ha detto: “Dobbiamo fare di tutto per la pace, ma – ha avvertito – la pace passa per il perdono, l’amicizia, l’amore fra le etnie, le culture, le religioni. Ognuno deve portare il suo contributo”.

D. – Un invito che ha commosso le persone che erano lì…

R. – La gioia era incredibile. Qui la gente è proprio gioiosa, malgrado i suoi problemi. Fino all’ultimo momento non credeva che il Papa sarebbe potuto venire. Pensava che all’ultimo sarebbe successo qualcosa, che avrebbe impedito il suo arrivo. Per loro, dunque, è stato un momento straordinario. Il Papa sembrava molto toccato da questa accoglienza, anche perché nel tragitto dall’aeroporto aveva già visto una folla innumerevole, uscita per le strade, malgrado le misure di sicurezza. 

D. – Come è stato preparato questo incontro?

R. – Questa parrocchia accoglie questi sfollati come tante altre parrocchie della capitale. Qui sono stati fatti miracoli per pulire in pochissime ore questo luogo che simboleggia la sofferenza che ha questo Paese diseredato. Gli sfollati sono fuggiti da violenze, vessazioni di ogni genere. La maggioranza ha perso tutto, le loro case sono state incendiate e oggi vivono sotto tende offerte dall’Alto Commissariato per i Rifugiati, che resistono male al clima, alle forti piogge equatoriali e al sole. E per proteggere il Papa dal sole, intenso a questa latitudine, hanno preparato un tetto in legno, sormontato da una tenda. C’era un vaso di fiori poggiato su una piccola tavola, una decorazione molto semplice: l’immagine di questo Paese, privato di tutto, eccetto della sua fede solida. Per fare dei tappeti, dei tessuti dai colori molto vivavi sono stati poggiati sul suolo di terra battuta, che si trasforma spesso in un terreno fangoso e contribuisce alla diffusione del paludismo, che è un vero problema in questo Paese.








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