2015-11-30 15:44:00

Brasile. Diga cede, tonnellate di fango e veleno nell'oceano


Mentre il presidente del Brasile Dilma Rousseff è a Parigi per COP21, la conferenza sul clima, nel suo Paese un fiume di fango tossico ha raggiunto l’Oceano Atlantico. L’esondazione della diga nel Rio Dolce avvenuta il 5 novembre scorso rappresenta il più grave disastro ambientale mai avvenuto nel Sud America. Secondo la multinazionale mineraria che gestisce la diga, la Samarco, le sostanze non sono contaminate e anche per il governo federale si tratta di un disastro naturale. Tuttavia, sono morte 11 persone e migliaia di specie animali e secondo Greepeace ci vorranno 100 anni per smaltire il danno. Veronica Di Benedetto Montaccini ne ha parlato con Paolo Scinto che lavora in Brasile con Instituto Terra, la Onlus fondata dal fotografo Sebastiao Salgado per riforestare proprio il territorio del Rio Dolce:

R. – Un disastro di proporzioni enormi. L’onda di fango in pochi giorni è arrivata già all’Oceano Atlantico, quindi ha percorso diverse centinaia di kilometri. La situazione del fiume è critica, con pesci e altre specie sterminate, di fatto il Rio Doce è biologicamente morto.

D. – Il governo federale sta cercando di far passare questo avvenimento come un disastro naturale, le due multinazionali (ovvero la brasiliana Vale, il più grande produttore di ferro al mondo e l'australiana Broken Hill, la più importante società mineraria del pianeta - ndr) che insieme compongono la Samarco però continuavano a scaricare nella diga materiali di scarto delle loro estrazioni. Quali sono le loro responsabilità? Ed era annunciato questo disastro?

R. – E' un po’ complicato definire naturale questa esondazione, quando si parla di una diga. E’ evidente che ci siano dei rifiuti di un certo tipo, che hanno colorato di rosso tutta la regione Mariana solo per colpa delle estrazioni e dello sfruttamento del territorio da parte dell’uomo. Sul posto vengono effettuati dei controlli istituzionali e nei report risultava essere tutto a norma nella diga. Quindi, andrebbe divisa la responsabilità tra le multinazionali che lavorano lì e chi effettua controlli.

D. – Questo dello tsunami di fango è un fatto contingente, ma quali sono gli altri problemi ambientali in Brasile, che esistono da molti anni?

R. – I problemi ambientali sono tantissimi. Il disastro del Rio Doce non nasce oggi con la rottura delle dighe, nasce da alcune decadi principalmente a causa di una deforestazione selvaggia e un’agricoltura troppo intensiva. Con Instituto Terra abbiamo iniziato con i terreni che erano della famiglia di Sebastiao Salgado, che erano ormai bruciati e senza più alberi, e poi abbiamo continuato a lavorare proprio sulla riforestazione. Abbiamo piantato già quasi cinque milioni di alberi. Questo metodo si può riprodurre anche in altre aree del mondo, ma già espanderlo a tutta la costa del Brasile, la più popolosa, sarebbe un grandissimo risultato.

Secondo Giuseppe De Marzo, fondatore e portavoce dell’associazione "A Sud" e direttore del Centro di documentazione sui conflitti ambientali, quando delle multinazionali compiono dei danni ambientali, come nel caso della diga del Rio Doce, stanno compiendo dei danni contro l'umanità. Ai microfoni di Veronica Di Benedetto Montaccini, De Marzo ha spiegato quale cambiamento culturale ci vorrebbe per preservare l'ambiente da questi disastri:

R. – Non è un luogo comune mettere in evidenza come i danni che continuiamo a chiamare "ambientali" ormai abbiano un impatto sociale, concreto, nelle vite delle persone e nel futuro di queste persone nel cancellare la speranza delle future generazioni. Ormai, siamo davanti a casi come questo del Brasile in più parti del pianeta, senza che vi siano voci – se escludiamo Papa Bergoglio – a ricordare alla politica e ai governi che le ingiustizie sull’ambiente sono ingiustizie sulla società.

D. – Anche l’Onu ha attaccato i ritardi nelle azioni posteriori a questo disastro. I governi come si stanno muovendo rispetto alla conservazione dell’ambiente?

R. – In questo secolo, la temperatura potrebbe aumentare dai tre ai quattro gradi e sappiamo tutti i problemi che causerebbe a metà della specie umana. La maniera migliore per contrastare tutto questo, per creare giustizia ecologica, è cambiare il modello estrattivo, il modello economico che ora è fondato solo sul principio dell’efficienza monetaria. L’etica economica contrasta con l’etica della terra. Papa Francesco ne ha parlato nell’Enciclica "Laudato si'" e già da trent’anni le popolazioni indigene e le associazioni contadine del Sud del mondo, dell’India, dell’America Latina, parlano del "debito ecologico", cioè di come una parte dell’umanità si sia arricchita sfruttando la terra a scapito di un’altra.








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