2015-12-01 12:37:00

Giornata contro l'Aids. Cauda: malattia ancora rischiosa


“Celebriamo quest’anno la Giornata mondiale dell’Aids con una speranza nuova, data da quanti combattono la malattia su più fronti, ma occorre fare di più e velocemente”. Così il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon in occasione dell'odierna giornata dedicata alla lotta contro l’infezione dal’Hiv che colpisce 37 milioni di persone nel mondo. Le sfide tuttora, secondo l’Onu, sono l’estensione delle cure e dell’accesso ai servizi e soprattutto per giovani e donne, l’informazione in funzione preventiva. Il rischio è che oggi la malattia si consideri vinta, in realtà non è così, nonostante i progressi fatti, come spiega al microfono di Eliana Astorri, il prof. Roberto Cauda, ordinario di malattie infettive del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma:

R. – Dell’Aids, dell’infezione da Hiv, se ne parla molto meno che nel passato. Si tratta adesso di una malattia curabile, anche se non guaribile. Ci sono effettivamente un certo numero di casi - molto pochi, due o tre - nei quali si è raggiunto, attraverso la cura funzionale, il controllo dell’infezione. In realtà, la malattia, il virus non è  estirpabile al momento dall’organismo, nonostante siano state fatte degli straordinari passi in avanti. La malattia nel mondo segue un po’ quello che è stato fin da subito: cioè, il nord del mondo che ha farmaci e pazienti, in numero peraltro limitato, il sud del mondo, che ha un numero elevato di pazienti, dove la disponibilità dei farmaci è sempre minore rispetto a quanto servirebbero.

D. - Continua la ricerca sui farmaci che combattono il virus con un’attenzione alla diminuzione degli  effetti collaterali degli stessi…

R. – Esattamente. Si persegue un farmaco che sia efficace, che dia pochi effetti collaterali e che sia semplice da assumere. Oggi, il paradigma della terapia verte proprio su questi due aspetti: semplificazione della terapia attraverso la cura in un’unica pillola, oppure riduzione del numero dei farmaci sempre però con un numero di pillole limitatissimo.

D. – C’è l’impressione che l’Aids sia una malattia che appartiene al passato come se ora non ci fosse più il pericolo di contagio?

R. – Questo è di per sé un pericolo perché certamente l’Aids non fa più quella paura che faceva negli anni passati. Tutta la mia vita professionale in qualche modo è stata segnata dall’Aids nelle sue varie fasi e io ricordo bene i momenti iniziali di grande disperazione in cui c’erano molte persone che morivano. Oggi esiste una cura anche se non esiste ancora la guarigione. Però la percezione del grande pubblico non è più quella di una volta, quando si facevano le aperture dei telegiornali e se ne parlava molto. C’è oggi il rischio che se ne parli solo e neanche molto il 1° dicembre. Quindi mantenere alta la tensione è importante perché la malattia è ancora rischiosa per i giovani che non la conoscono ma anche per le persone anziane che ritengono di essere in qualche modo immuni da questo. Oggi noi osserviamo un fenomeno legato all’invecchiamento, grazie ai farmaci della popolazione dei soggetti infetti che fa configurare un “geronto-Aids”, se vogliamo usare questa battuta: cioè, persone anziane o relativamente anziane che hanno una serie di malattie associate all’infezione da Hiv che sono molto complesse da trattare e questa secondo me è la nuova sfida degli anni 2000.








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