2015-12-02 12:33:00

Scuola, in periferia si fa lezione con il tablet


La tecnologia e l’insegnamento interattivo arrivano a scuola. Il progetto “Smart Future”, lanciato dal Miur in collaborazione con l’azienda di telecomunicazione Samsung, ha coinvolto 776 istituti e più di 20mila ragazzi. La sfida è l’uso di tablet e lavagne digitali per stimolare delle lezioni diverse, corredate da video e contributi multimediali. Oggi il progetto è stato inaugurato dal Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini in una scuola nella periferia a nord di Roma, l’Istituto Parco di Veio. Veronica Di Benedetto Montaccini ha intervistato Concetta Messina, Preside della scuola.

R. – Siamo tutti un po’ in fibrillazione qui perché la scuola è piccola, è una scuola di periferia. Siamo contentissimi per la presenza del Ministro della Pubblica Istruzione. Ci sono, in giro per la scuola, tutti gli operatori della Samsung che vengono a promuovere l'iniziativa "Smart future". Si tratta di un progetto bandito dal Miur, abbiamo partecipato e vinto il bando che dava la possibilità di allestire una classe con attrezzature multimediali. Abbiamo da quest'anno delle classi in cui ogni ragazzo ha un tablet. Gli strumenti sono collegati tra di loro e contemporaneamente sono collegati con quello dell'insegnante. 

D. – Quali attività si svolgono con questo tablet?

R. – Vengono veicolate attraverso i tablet le stesse unità didattiche classiche e tradizionali che possono essere i contenuti di storia, di storia dell’arte o di matematica. L’impostazione però non è più quella classica di un apprendimento logico, sequenziale, ma è un apprendimento interattivo, veicolato anche da immagini, da suoni e da video e quindi vengono stimolate altre abilità. In questo modo le unità didattiche diventano molto più motivanti per la mente dei giovani che oggi viaggia molto più velocemente. 

D.  – La tecnologia avvicina i ragazzi alla scuola e al lavoro?

R. – Essendo nativi digitali, come  tutti i ragazzi, hanno un approccio molto più immediato alle strumentazioni multimediali rispetto, per esempio, alla nostra generazione. Questo metodo li aiuta perchè si rendono conto che la tecnologia non serve solo per entrare su facebook o per chattare con gli amici, ma anche per velocizzare la ricerca, per archiviare in modo digitale i documenti, per contattare persone dall'altra parte del mondo, per approfondire un argomento in un'altra lingua e quasi tutto questo si può fare gratuitamente. 

D. – Per quanto riguarda i genitori e i docenti? Sanno utilizzare queste tecnologie?

R.  – I genitori intanto sono molti entusiasti dell’iniziativa. Per i docenti è stato un po’ più difficile. Alcuni erano ancora non solo un po’ restii ma proprio impreparati a svolgere questo nuovo ruolo, soprattutto ai più anziani sembrava una cosa inutile all'inizio. Ora però è stata fatta anche la formazione, quindi è stato superato quello che è lo scoglio e il buttarsi in questa nuova cosa. Per cui a due mesi di distanza - i ragazzi in realtà lavorano con queste nuove strumentazioni dal mese di settembre  - le cose stanno andando molto meglio e quindi anche i professori hanno dimostrato molto più entusiasmo.

D. – Con questo incoraggiamento alla multimedialità non si rischia che si perdano abilità come la lettura o la scrittura?

R. – La bravura è quella dell’operatore, in questo caso dell’insegnante, nel riuscire a trovare un giusto equilibrio affinché la tecnologia non sia un fine ma sia comunque relegato solo all’ambito di strumento. Fin dove la tecnologia non è altro che un elemento che potenzia i contenuti didattici, allora è tutto positivo; dove invece la tecnologia diventa un fine, diventa il semplice saper usare il tablet, lì abbiamo fallito come scuola. Perché la scuola ha altri compiti: può utilizzare strumenti per veicolare i contenuti fondanti, le basi culturali che devono poi strutturare la personalità dei ragazzi.








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