2015-12-04 16:48:00

Cosimo Rega, un ergastolano che si confronta con la fede


"Quando scopri cosa è il bene, allora ti rendi conto del male che hai fatto. Io credo che il male difficilmente si sconfigge, l’ho vissuto troppo intensamente fuori e per molti anni in carcere, ma una cosa si può: si può alimentare il bene che è in ogni persona, e questo poi i risultati li porta". Cosimo Rega, 63 anni, di cui 37 passati in carcere, sta scontando a Rebibbia la pena dell’ergastolo a vita. Ex boss della camorra, ha compiuto diversi omicidi. Da qualche anno gli viene concesso di lavorare. Fa il portiere alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università RomaTre. Ha appena portato in scena al Teatro Vascello lo spettacolo 'Nove e Trentatre', tratto dal romanzo autobiografico 'Sumino ‘O falco'. Perché il teatro lo ha salvato e riabilitato. Insieme all'amore mai venuto meno di sua moglie. Ha messo su una compagnia di teatro nel carcere e collabora con gli studenti del DAMS. I fratelli Taviani lo hanno scelto per interpretare il ruolo di Cassio nel film 'Cesare deve morire', candidato agli Oscar nel 2013, già vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino l’anno prima.

"Il carcere è un luogo senza senso, non c’è bellezza", racconta. "Le tensioni sono molto amplificate. Con gli anni ti abitui a vivere tutte quelle cose che nella vita non sono normali. Lo spazio/tempo è tutto l’opposto rispetto a fuori: dentro lo spazio è piccolo e il tempo è enorme. Questo ti stravolge i sentimenti. E’ una cosa da non sottovalutare, perché col tempo ti convinci che da carnefice sei tu la vittima". 

"Io la libertà la trovo sulle tavole di un palcoscenico. Là sei a tu per tu con la tua anima. Quella nessuno te la può togliere. Io non ero più abituato ad una complicità, quella che vivo con i miei compagni d’arte, chiamiamoli così, pulita, sincera. Sto molto imparando da loro. Mi stanno facendo risvegliare alcuni valori che dormivano dentro di me, attraverso la loro freschezza, la loro semplicità, la loro umanitàPer primo il valore della famiglia che comunque nel mio caso è stata sempre molto forte. Mi ha aiutato a recuperarmi". 

Racconta per sommi capi la sua storia: la passione per il calcio, otto fratelli. Spedito ancora ragazzo a Torino per un lavoro da metalmeccanico, poi un incidente in fabbrica con una macchina che gli ha tagliato metà braccio. "Sono andato giù, mi sono sentito un inetto. Ho dovuto rivedere tutte le mie aspirazioni, mi piaceva tanto l'arte. La mia fidanzata, attuale moglie, rimase incinta. Mio padre, che pure, lo so, mi voleva molto bene, mi diede una dura lezione buttandomi fuori casa. Ero fragile, il cervello, come succede in questi casi, ha cominciato a diventare una spugna. C’erano dei ragazzi al bar che stavano discutendo sul fatto che mancava una persona per rubare delle macchine a Roma. Avrebbe guadagnato 500mila lire. Così cominciai. Avevo 19 anni. Entrai poco dopo nella criminalità organizzata e cominciò il fascino dei soldi. Riuscivo a spendere anche un milione al giorno a quei tempi. Adesso oltre gli 8 euro e 50 non posso andare. Uccidere è la normalità nella camorra. E io ho creato degli orfani e delle vedove". 

Dalle maschere della malavita a quelle del palcoscenico: "Chi è nella camorra non sa comunicare. E’ facile comunicare con una pistola in mano. Da detenuto anche non sai comunicare. Lentamente però l’arte lavora dentro di te se ti ci esponi. E dopo il brivido degli applausi, le luci, capisci pure che con il tempo non sei più tu che ti servi del teatro ma sei tu che lo servi". 

Conta la fede nella tua vita? "Fino a qualche anno fa la mia cultura di uomo di sinistra non me lo ha consentito di avere una fede. Poi, andare nelle scuole, rispondere con il cuore alle domande dirette dei ragazzi mi ha cominciato a scuotere. Ho cominciato a lasciarmi molto andare. Avevo intanto un’ammirazione per Papa Wojtyla. Ora posso dire che non sono proprio ancora del tutto cattolico però mentre prima accompagnavo mia moglie a messa per farla contenta, adesso ci vado perché ho bisogno di sentire. Qualche cosa è cambiato. Penso che nella vita le cose non accadano per caso ma perché possano accaderne altre. Io per esempio, che ho fatto cose orribili, attraverso la sofferenza ho capito che dovevo riflettere, studiare, leggere me stesso... Prima prendevo in giro mia moglie che è molto devota, ora prego anche io e mi addormento tranquillo. Per il momento mi accontento di questa pace interiore. Qualche volta lo faccio anche di nascosto. A Rebibbia non c’ero quando è venuto Francesco alla lavanda dei piedi ai detenuti perché sono in un altro reparto dove usciamo la mattina e rientriamo la sera. Siamo in 15. Penso comunque che questo Papa è un uomo diretto, un uomo della vita, è ‘nu Papa vero. Si fa amare e cambierà la storia". 

 








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