2015-12-05 13:48:00

Un mese fa il più grave disastro umano e ambientale brasiliano


Fanghi ferrosi contaminati da arsenico, piombo, cromo ed altri metalli pesanti: un mese fa, il 5 novembre, il Brasile conosceva il più grave disastro ambientale della sua storia. Due dighe contenenti vari milioni di rifiuti tossici da operazioni minerarie crollavano, invadendo la città di Mariana, nello Stato di Minas Gerais, e le località circostanti. Almeno 17 le vittime accertate. Altre centinaia evacuate. Sessanta milioni di metri cubi di sostanze tossiche coprivano l’intera area. L’Onu ha definito i provvedimenti fin qui adottati per contenere il disastro “chiaramente insufficienti”, criticando sia le autorità nazionali, sia la brasiliana Vale e l'anglo-australiana Bhp, i due colossi minerari proprietari della Samarco, la compagnia di estrazione a cui appartiene la miniera che ha generato i rifiuti tossici. Della catastrofe – che cade in un momento difficile per il Brasile, alle prese con l’"impeachment" a carico della presidente Dilma Roussef – Giada Aquilino ha parlato con Paolo Foglizzo, che per la rivista "Aggiornamenti Sociali" si occupa anche di questioni ambientali:

R. – Stiamo parlando di quella che potremmo definire l’ultima catastrofe di una lunga serie. In realtà, non si tratta di un disastro ambientale quanto piuttosto degli effetti della cattiva condotta umana. Sono state create delle dighe dove all’interno si opera il lavaggio dei minerali estratti, per separare la parte utile dal quella superflua. Queste dighe non sono state costruite rispettando le normative di sicurezza: mancava qualunque sistema di allarme, di allerta. Tra l’altro, quando è accaduto il disastro gli operai stavano lavorando per aumentare la capienza della diga. Tutto ciò ha prodotto semplicemente un disastro dovuto a incuria.

D. – Questi fanghi prodotti dallo scarto di operazioni minerarie hanno inquinato il Rio Doce, iniziando poi il loro cammino inesorabile verso l’Oceano Atlantico. Di fatto, di che danni stiamo parlando?

R. – Credo che i danni effettivi saranno da valutare soprattutto quando si potrà capire quanto grande è l’impatto su un ecosistema piuttosto delicato: lungo le rive del fiume, che si trova in una regione tropicale, c’è un’ampia biodiversità, spesso minacciata, e lo stesso forse ancora di più vale per la zona marina. Ci sono certamente i danni alla popolazione; oltre ai morti, ormai centinaia di migliaia di persone sono rimaste senza acqua potabile. C’è da capire quanto saranno inquinati ancora i campi e le falde acquifere e per quanto tempo. C’è da rimarcare soprattutto come l’ambiente e i poveri siano vittime della stessa logica: di fatto, un disastro dovuto alla non volontà di spendere per la protezione dell’ambiente significa catastrofe ambientale e rovina per molte migliaia di persone che già sono povere.

D. – Tra l’altro oggi, oltre ai rischi per l’ecosistema, ci sono ormai prove per effetti nocivi sull’uomo dovuti proprio a carichi del genere…

R. – Sì. Tra l’altro, sono dovute intervenire le Nazioni Unite per ribadire che i fanghi scaricati nel fiume sono tossici anche per l’uomo, dopo che l’impresa mineraria e in parte anche il governo hanno cercato di negarlo, almeno nelle dichiarazioni pubbliche, anche se poi avevano già vietato il consumo di acqua. E questo significa che ne erano consapevoli. È molto interessante che a intervenire non sia stata l’agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente, ma quella per il rispetto dei diritti umani: perché evidentemente ormai ambiente e diritti umani si saldano in un unico capitolo di fronte alle aggressioni prodotte da una cattiva gestione delle risorse.

D. – Decenni fa, il fiume adesso gravemente inquinato era immerso nella foresta amazzonica, popolata da tribù indigene. Oggi, tutto il corso del fiume è essenzialmente disboscato. Nella “Laudato si’”, Papa Francesco a proposito di Amazzonia parla di un “delicato equilibrio” che si impone quando si affrontano questioni riguardanti tali luoghi e fa riferimento agli “enormi interessi economici internazionali” in gioco…

R. – Sono quelli che vediamo all’opera anche in questo disastro. È chiaro che è più redditizio sfruttare una miniera senza misure di sicurezza, è più redditizio operare senza rispettare gli standard ambientali, è più redditizio operare cercando di convincere gli Stati a non approvare leggi ambientali o a non fare i dovuti controlli. Spesso, dietro tali situazioni si nasconde anche molta corruzione. È chiaro che tutto questo fa sì che il guadagno immediato di oggi oscuri la capacità di vedere le conseguenze domani, fra dieci o fra venti anni.

D. – In un momento in cui è in corso il vertice sul clima di Parigi, ci si chiede quanto poi siano messi in pratica i protocolli per gestire tali emergenze, i piani di evacuazione, le regole di smaltimento...

R. – Il problema in campo ambientale spesso riguarda leggi esistenti che non vengono applicate. Nei Paesi in via di sviluppo le cose sono un po’ diverse: alcuni mancano completamente di questa legislazione, altri ce l’hanno ma non la osservano nemmeno lontanamente. Non che nei nostri Paesi sia molto diverso, perché tutta la storia della "terra dei fuochi" e delle discariche abusive ci racconta qualcosa di molto simile. Gli accordi internazionali sono importanti – anche l’Enciclica lo ricorda – ma hanno bisogno di essere efficaci e rispettati. Il problema è creare qualche agenzia che abbia il potere di verificare che gli Stati facciano quello che hanno promesso ed eventualmente di punire chi non rispetta le regole.








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