2015-12-06 14:30:00

Siria, un francescano: "È una guerra tra le potenze del mondo"


Momenti di panico ieri nella metro di Londra. Un uomo ha tentato di tagliare la gola a una persona e ne ha attaccate altre urlando: "Questo è per il sangue che state spargendo in Siria". L'aggressore è stato fermato e arrestato. Intanto, continuano i raid britannici contro obiettivi del sedicente Stato islamico in territorio siriano. Sono previsti un minimo di 5 bombardamenti aerei ogni 24 ore per almeno 6 giorni. Da parte sua, il presidente Assad ha definito in un’intervista al Sunday Times l’intervento del Regno Unito “illegale” e utile solamente a diffondere il “cancro” del terrorismo. Sul terreno, i ribelli turcomanni hanno strappato alle milizie jihadiste tre villaggi sul confine con la Turchia. Ad Aleppo proseguono scontri tra opposte fazioni. La città siriana è ormai da anni un campo di battaglia con la popolazione civile ostaggio dei combattenti. La zona occidentale è controllata in parte dalle truppe di Assad, mentre la zona orientale è occupata dagli islamisti di al Nusra. Nella zona settentrionale ci sono i miliziani di etnia curdo-siriana e le aeree vicine sono occupate dai jihadisti dell’Is. La situazione dei civili è tragica. Quali i bisogni più immediati? Eugenio Murrali lo ha chiesto a padre Firas Lutfi, frate francescano di Aleppo:

R. – Lì c’è un bisogno estremo, non solo di generi primari, cioè di acqua, pane, di elettricità, ma anche di sicurezza.

D. – Come si può raggiungere questo dono della pace in Siria, secondo lei?

R. – Sicuramente non è una guerra civile, perché sono entrati in campo anche jihadisti da oltre 60 nazioni di tutto il mondo. Tutte le guerre sono assurde, ma questa ha molti colori e molte componenti e molti interessi, purtroppo anche a livello internazionale: è come se le grandi potenze mondiali stessero facendo la guerra non a casa propria, ma sul terreno siriano. E questo peggiora le cose. In più, ci sono anche gli interessi di qualche Paese limitrofo. La pace si può e si deve fare. Ma, come dice spesso Papa Francesco, la pace va costruita: bisogna esserne artefici. La prima cosa, secondo me, è un impegno chiaro della comunità internazionale per fermare il flusso di armi. In secondo luogo è opportuno impedire la compravendita del petrolio grazie a cui l’Is, il gruppo fondamentalista più terrificante al mondo, acquisisce denaro, compra armi e quindi, in ultima analisi, uccide il popolo siriano. Terza cosa – e questo spetta alle istituzioni – una volta fermata la macchina della guerra, deve iniziare il processo della cultura, cioè l’istruzione: la cultura di pacificazione, di incontro, di abbattimento delle barriere che purtroppo sono state costruite in questi cinque anni. È importante anche l'aspetto religioso: siccome questi jihadisti uccidono in nome di Dio, c’è bisogno di una catechesi che restituisca – se è corretto esprimerlo così – l’immagine del vero Dio, del Dio della pace, del Dio della misericordia, del Dio che ama, che è Padre di tutti.

D. – Quali saranno i suoi prossimi impegni?

R. – Mi hanno affidato il compito di essere superiore in una casa: un ex-collegio, che adesso è diventato un luogo di accoglienza per tutti. Per esempio, abbiamo accolto, dopo i bombardamenti di una casa di ricovero della Società di San Vincenzo de’ Paoli, 50 malati anziani. E poi è una casa aperta a tutte le attività di Aleppo. Per fortuna, in questo spazio di cui sono responsabile c’è un po’ di sicurezza, per cui tutti i cristiani, soprattutto i bambini, vanno a giocare lì: abbiamo tantissimi campi, una grande struttura. Tanti, per esempio, fanno una sosta, prendono un po’ di distacco dalla guerra, fanno una giornata di esercizi spirituali. In più, devo andare nella parrocchia e dare una mano, non solo nelle celebrazioni eucaristiche e nei sacramenti, ma soprattutto nel servizio della carità verso i più poveri. E direi che sono la stragrande maggioranza della popolazione siriana.








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