Una riflessione su questioni teologiche preparata dalla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, a cinquant’anni dalla Dichiarazione “Nostra aetate” del Concilio Vaticano II. Questo in sintesi il nuovo documento “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”, pubblicato oggi, a firma del presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il cardinale Kurt Koch. Il servizio di Giada Aquilino:
Un documento non magisteriale
Non un documento magisteriale ma un “punto di partenza”
per “arricchire” ed “intensificare” la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico,
sviluppatosi a partire dal Concilio Vaticano II. Alla base del nuovo documento - e
di tale dialogo - è il quarto articolo della “Nostra aetate”, definito il “fulcro”
della Dichiarazione conciliare, che fa spazio “anche alla relazione tra la Chiesa
cattolica e le altre religioni”: esso “s’incentra sulla nuova relazione teologica
con l’ebraismo”. In tal senso, il rapporto con l’ebraismo può essere considerato “come
il catalizzatore per definire il rapporto della Chiesa cattolica con le altre religioni
mondiali”. Ha quindi uno “statuto speciale” nel più ampio contesto del dialogo interreligioso.
Nel testo vengono affrontate questioni teologiche quali l’importanza della rivelazione;
il rapporto tra l’Antica e la Nuova Alleanza, di cui è ribadita l’“unità indissolubile”;
la relazione tra l’universalità della salvezza in Gesù Cristo e la convinzione che
l’alleanza di Dio con Israele non è mai stata revocata; il compito evangelizzatore
della Chiesa in riferimento all’ebraismo.
Cattolici ed ebrei buoni amici
L’apprezzamento di fondo espresso nei confronti dell’ebraismo
nella “Nostra aetate”, si sottolinea, ha contribuito a far sì che “comunità nel passato
scettiche le une di fronte alle altre” si trasformassero col tempo in “partner affidabili
e addirittura in buoni amici” in grado di far fronte “insieme” alle crisi e di gestire
i conflitti in modo positivo. Negli anni, numerosi sono stati i passi compiuti. Nel
1974 Paolo VI istituì la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo; sono
seguiti tanti testi e documenti che, “per quanto importanti”, non possono però “sostituire”
gli incontri personali ed i dialoghi “faccia a faccia”. Ricordato l’impegno di Papa
Montini, di San Giovanni Paolo II, poi di Benedetto XVI, di Francesco che, prima come
arcivescovo di Buenos Aires e ora come Papa, ha particolarmente “a cuore” la promozione
del dialogo.
Radici ebraiche del cristianesimo
D’altra parte, si aggiunge, ebrei e cristiani possono
arricchirsi “vicendevolmente” nella loro amicizia: il dialogo con l’ebraismo non può
essere assolutamente comparato al dialogo con le altre religioni mondiali, a motivo
delle radici ebraiche del cristianesimo. Senza le sue radici ebraiche, la Chiesa rischierebbe
di “perdere” il proprio “ancoraggio nella storia della salvezza”. Ecco perché il loro
dialogo “può essere definito solo per analogia ‘dialogo interreligioso’: non si tratta
infatti di due religioni aventi natura “fondamentalmente diversa”, che si sono sviluppate
l’una indipendentemente dall’altra senza reciproca influenza. L’“humus” di ebrei e
cristiani - si specifica - è “l’ebraismo del tempo di Gesù”. La differenza di fondo
tra le due consiste poi “nel modo in cui si ritiene di dover valutare la figura di
Gesù”.
Doni e chiamata di Dio sono irrevocabili
Soffermandosi sull’universalità della salvezza in
Gesù e riaffermando che Cristo è il “mediatore universale” di tale salvezza, chiarendo
- con San Paolo – che “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”, si mette in
luce come il fatto “che gli ebrei abbiano parte alla salvezza di Dio” sia teologicamente
“fuori discussione”: ma come ciò sia possibile “senza una confessione esplicita di
Cristo”, prosegue il documento, “è e rimane un mistero divino insondabile”.
Mandato evangelizzatore in relazione all'ebraismo
Per quanto riguarda il mandato evangelizzatore della
Chiesa in relazione all’ebraismo, si chiarisce che è “facile” comprendere come la
cosiddetta “missione rivolta agli ebrei” sia per essi una questione “molto spinosa
e sensibile”, poiché “ai loro occhi riguarda l’esistenza stessa del popolo ebraico”.
La Chiesa, si chiarisce, deve dunque comprendere l’evangelizzazione rivolta agli ebrei,
che credono nell’unico Dio, in maniera “diversa” rispetto a quella diretta a coloro
che appartengono ad altre religioni o hanno altre visioni del mondo. La Chiesa cattolica
quindi “non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente
agli ebrei”: rimanendo il “rifiuto” di una missione istituzionale diretta agli ebrei,
i cristiani sono dunque “chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù
Cristo anche davanti agli ebrei”, con “umiltà e sensibilità”, riconoscendo che gli
ebrei sono “portatori” della Parola di Dio e non dimenticando la grande tragedia della
Shoah.
Impegno comune per la giustizia e la pace
La parte finale del documento è dedicata all’impegno
comune “a favore della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e della
riconciliazione in tutto il mondo”, evidenziando che “soltanto quando le religioni
dialogano con successo” la pace “può essere realizzata anche a livello sociale e politico”.
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