2015-12-15 15:02:00

Papa Francesco raccontato da vicino in un libro di mons. Viganò


Cosa cambia nella Chiesa? Come? Quale sarà il ruolo di innovatore di Papa Francesco di un’istituzione millenaria come la Chiesa. La prima rivoluzione del Papa venuto dalla “fine del mondo” è un mutamento formale dalle profonde implicazioni sostanziali: sta nei gesti e nelle parole con cui si è manifestato quale “Papa del dialogo”, capace di andare incontro a tutti. Una rivoluzione anche comunicativa, quella del Papa, sia verso la gente sia nei confronti di quanti hanno il compito di raccontare il suo Pontificato.  Sono parole tratte dalla presentazione del libro “Fedelta è cambiamento. La svolta di Francesco raccontata da vicino” (Rai Eri) scritto da mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede e direttore del Centro Televisivo Vaticano. Luca Collodi ha chiesto a mons. Viganò quali sono le caratteristiche della comunicazione di Papa Francesco.

R. – Diciamo che questo libro nasce dal desiderio di raccontare quello che succede dietro le quinte. Racconta questa vicenda straordinaria del pontificato di Papa Francesco che ha molto della creatività, tipica, di un uomo radicato nel mistero di Dio. Già dalle prime battute, il libro si apre raccontando il momento in cui, dopo la fumata bianca, le telecamere del Centro Televisivo Vaticano si attivano per documentare prima, e poi raccontare al mondo, chi è il nuovo Pontefice. C’è un dialogo tra me e un operatore papale - perché lui già vedeva il Papa e noi in regia non lo vedevamo ancora - per sapere chi fosse ma lui non voleva dircelo… piccoli giochi del “dietro le quinte” che però mostrano la presenza di un racconto, il racconto di Papa Francesco che vuole essere quanto di più empatico, forte, vicino alla gente.  Ricordo, ad esempio, una scelta, una scelta più di curiosità che non pensata: quella di mettere una telecamere sulla Loggia delle benedizioni, che rappresentasse, un po’, un punto di vista dietro il Papa. Ecco, l’idea di mettere quella camera ci ha permesso di raccontare quel primo incontro simulando, in qualche modo, il punto di vista del Papa sulla folla, sulla gente in Piazza San Pietro, montandola, mixandola con lo sguardo della gente verso il Papa. E’ stato un incontro di sguardi che poi è diventato il simbolo di un pontificato, che è un pontificato fatto di incontri, di prossimità, un pontificato che annulla le distanze, di vicinanza, di abbracci, di tatto…

D. – Il libro si legge molto bene, ma, c’è anche la sensazione di vedere. Il racconto, infatti, apre nel nostro pensiero di lettori le immagini televisive che rimandano alla fine del pontificato di Benedetto XVI e all’elezione di Papa Francesco…

R. – Sì, il libro è scritto un po’ come una sceneggiatura, a parte forse la terza parte; quando uno scrive un film deve sapere che scrive per immagini, che è molto diverso dallo scrivere, per esempio, un romanzo. Ed è emersa questa scrittura un po’ “naturale”, forse perché volevo raccontare i racconti – scusate il gioco di parole – fatti attraverso le immagini del Centro Televisivo Vaticano. Quindi, da questo punto di vista sì, è un testo che si legge come una sceneggiatura.

D. – Uno dei dati che emerge dal libro è l’importanza che il Papa dà alla comunicazione…

R. – E’ un’importanza non strategica, direi. Cioè, è importante nel senso che il Papa è un uomo talmente attento alle persone che crea comunione che, appunto, passa attraverso la comunicazione. Penso, ad esempio, ad alcuni episodi che poi si ripetono ogni volta che si presta a registrare un videomessaggio: non c’è mai un momento in cui lui, entrando nella sala predisposta, non passi a salutare, prima e dopo, ogni persona presente: dal ragazzo che tira i cavi all’operatore. E questo è un modo di vicinanza alle persone, di comunione con le persone, che però sono atti di comunicazione performativa: cioè, nel momento in cui saluta, crea. La sua parola è una parola che ha il peso della sua vita: questa è la forza della sua comunicazione. Come dice il Premio Nobèl Dario Fo: “Non si tratta di una strategia, meno ancora di un modo recitativo-attoriale”. Il Papa è così. Sa squarciare le pieghe, a volte anche indurite, del cuore delle persone. Perché chiama i problemi con il loro nome e soprattutto richiama continuamente alle cose essenziali, non ai barocchismi. Da questo punto di vista uno è anche disponibile all’ascolto, perché la parola che dice è una parola… Quando dice: “Io sono un uomo perdonato”, no?, in questo modo sta avvicinando tutti, perché tutti noi siamo peccatori e se lo è lui, se lui lo comunica e se lui è un grande, così anche noi, allora, possiamo essere portatori di speranza come lui, portatori di carità, di solidarietà come è effettivamente Papa Francesco.

D. – Una comunicazione, mons. Viganò, che passa attraverso i gesti…

R. – Molto, molto. Perché la sua comunicazione è il suo corpo. Ricordiamo tutti quando Papa Francesco si è presentato alla Loggia delle benedizioni poco dopo la sua elezione: era la sua presenza che comunicava, la sua postura, il suo modo di sorridere. Quando guarda le persone, ognuno pensa che quello sguardo è per sé; è un corpo che parla molto, è un corpo che scrive al storia, è come il corpo di Geremia nella Bibbia. Penso, ad esempio, anche all’ultimo viaggio in Kenya, Uganda e nella Repubblica Centrafricana: certo, ci sono stati molti discorsi importanti, ma la cosa importante era la sua presenza, il fatto che lui fosse andato in Centrafrica, che in quel luogo avesse aperto la Porta del Giubileo a Bangui, ciò dava dignità a un popolo, risvegliando anche la possibilità di una convivenza, di una speranza. Mi ha scritto una suora da Bangui dicendo: “E’ una cosa straordinaria: per la prima volta si vedono musulmani che entrano in luoghi in cui non entravano, senza armi; musulmani che danno passaggi in moto-taxi a cristiani; cristiani che danno passaggi ai musulmani, ed è una cosa straordinaria! C’è un contagio del fatto che ci sia una possibilità di speranza e di pace che fino a quel momento non c’era più!”.

D. – Il libro è anche l’occasione per conoscere Papa Francesco a partire dal discernimento e dalla collegialità: due caratteristiche del pontificato…

R.- Mi pare che emerga molto chiaramente che siamo di fronte a un pontificato che non determina la  Chiesa in base alle sue idee, ma cerca di far nascere dal basso, dal di dentro, con la forza creativa dello Spirito Santo la domanda: che cosa Dio vuole che questa Chiesa faccia, e che cosa Dio vuole che questa Chiesa assuma come profilo? Diciamo che è il passaggio dal chiedere a Dio che realizzi i nostri progetti, a chiedere a Dio quali sono i suoi progetti per noi. E’ questo un passaggio molto importante. E il discernimento ha una forma di pazienza necessaria, di una memoria costitutiva e soprattutto di una vita nello Spirito Santo. E questo è un ulteriore elemento importante. Poi, la collegialità, la sinodalità  che tutti abbiamo visto già dalla costituzione del gruppo dei nove cardinali che possono aiutare il Santo Padre nelle decisioni per la vita della Chiesa, così come nel Sinodo, e in fondo anche nell’idea di dilatare cattolicamente questo Giubileo in tutte le diocesi. C’è quindi una responsabilità che poi diventa, anche istituzionalmente, una scelta. Penso, per esempio, alle scelte che ha fatto il Papa rispetto ad alcuni processi, dove ha avviato una fase di ascolto, senza mai sottrarsi, però, alla responsabilità della decisione.

D. – Mons. Viganò, con Papa Francesco la Chiesa ha una presenza pubblica ma non come istituzione. E’   pubblica perché sta tra la gente. E’ così?

R. – Mi pare che si possa dire così: Papa Francesco ama essere in mezzo, ma non ama essere al centro. In mezzo alla gente, la sua gente, come il lievito deve essere mescolato con la farina per funzionare, ma sempre decentrato, perché il centro è Gesù Cristo. Lo vediamo anche nella scelta che fa nel non distribuire la Comunione durante le celebrazioni eucaristiche, proprio perché quello è il momento dell’incontro di ciascun uomo e di ciascuna donna con il Signore. Quindi non può essere inficiato dall’attenzione del fotografo o anche solo dalla semplice curiosità. La Chiesa che sta emergendo grazie a questo contagio che lo Spirito Santo sta avviando nei cuori di uomini e di donne, è una Chiesa pubblica nel senso – come diceva lei –  che si mescola. L’immagine dell’ospedale da campo è molto interessante, perché dice quanto la Chiesa assuma subito le urgenze delle persone: se una persona ha avuto un incidente o una ferita, la si cura subito; poi si faranno tutte le analisi. Questa idea di una Chiesa che si fa carità, non solo delle priorità ma anche delle urgenze è molto importante. E’ anche un grande cammino di conversione.

D. – Tuttavia Papa Francesco porta molto idee nel campo del dibattitto pubblico…

R. – Eh sì! E grazie a Dio è quello che determina un po’ l’agenda dei media, perché in fondo vediamo come anche oggi i media stiano approfondendo quello che lui aveva intuito un anno fa: la terza guerra mondiale a pezzi; oppure alcune scelte legate alla interdipendenza tra la cultura del Creato e la società. C’è una visione complessiva che – credo – sia anche una visione molto profetica.

D. – Mons. Viganò, nel libro c’è un’immagine del cardinale Bergoglio a Buenos Aires: aveva la televisione in casa, ma non la vedeva. Da arcivescovo preferiva ascoltare la radio…

R. – Sì, assolutamente. Ha aperto Canale 21 (la tv diocesana di Buenos Aires, ndr)  perché si rende conto della forza dei media di massa. Parlo della televisione ma c’è un po’ tutto dentro… Ascoltava però la radio anche perché - lui dice - la radio era quella che aveva solo due pulsanti, uno per l’accensione e il volume e l’altro per la sintonizzazione: “E siccome – dice – io sono un uomo di un’altra epoca, oltre i due tasti non vado”.

D. – Conosciamo l’importanza che il Papa dà alla comunicazione: come Centro Televisivo Vaticano, come Radio Vaticana, come media vaticani, come si può seguire Papa Francesco per  comunicarlo nel modo migliore?

R. – Penso, ad esempio, all’ultimo evento dell’apertura della Porta Santa l’8 dicembre: lì c’è stata proprio – secondo me –una grande collaborazione e produzione unitaria mondiale e satellitare, da un lato con  immagini in Ultra HD in 4K e dall’altro lato con un audio internazionale 5.1, veramente di altissimo profilo. Questa è proprio la modalità concreta con cui la radio e la tv di Stato offrono al mondo il massimo che si possa offrire dal punto di vista tecnologico e di cura delle immagini.

D. – Mons. Viganò, lei è prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede. Come procede il lavoro di armonizzazione degli strumenti della Santa Sede al servizio della Chiesa?

R. – Diciamo che è una fase, questa, in cui si devono espletare tutta una serie di necessarie attività legate più agli aspetti istituzionali, formali, etc. Credo che da gennaio si inizierà a capire che cosa dobbiamo fare, quali sono i punti di forza, i valori maggiori che possiamo continuare a veicolare o che possiamo anche enfatizzare. E da lì vedremo quale sarà il cammino, un cammino che deve essere in qualche modo condiviso. Certo, c’è poi anche la responsabilità di assumere delle decisioni, però sono decisioni che vanno sempre nella linea di un servizio - che è un servizio di tipo apostolico il nostro, tenendo conto del valore e delle eccellenze che abbiamo.








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