2016-01-03 11:30:00

Rwanda: il presidente Kagame si candida al terzo mandato


Il presidente del Rwanda Paul Kagame ha annunciato la sua candidatura ad un terzo mandato alle elezioni del 2017. La decisione arriva dopo che lo scorso 18 dicembre un referendum popolare aveva modificato la costituzione e cancellato il limite a due mandati presidenziali. Kagame, di fatto leader del Paese africano dalla fine del genocidio tra hutu e tutsi nel 1994, potrà ora rimanere al potere per altri dieci anni, come spiega Enrico Casale, redattore della rivista “Africa” dei Padri Bianchi, al microfono di Michele Raviart:

R. – Kagame potrà ricandidarsi nel 2017 e poi successivamente potrà ricandidarsi ancora per due volte. Quindi potrebbe rimanere al potere fino almeno al 2027, qualcuno dice almeno fino al 2034, quindi di fatto diventa un presidente a vita.

D. – Qual è la situazione delle opposizioni a  Kagame in Ruanda?

R. – L’opposizione è molto debole in Rwanda ed è stata schiacciata in questi ultimi tempi. Formalmente esiste un’opposizione ma di fatto sono il presidente e il suo partito a dominare la scena politica ruandese. Kagame è al potere dal 1994 ed è presidente dal 2000. Ha fatto cose positive nel Paese. Ha capito che il genocidio era legato soprattutto a questioni economiche e ha cercato di diversificare l’economia rendendo il Rwanda un Paese non più legato all’agricoltura ma ha diversificato le fonti di approvvigionamento, ha investito molto su internet e sulle nuove tecnologie. Si è avviato verso una strada di sviluppo. Detto questo, questo non può giustificare il fatto che un presidente rimanga a vita al potere.

D. – Critiche sono arrivati da parte di Stati Uniti e Unione Europea che hanno esplicitamente invitato Kagame a non ripresentarsi per una terza volta. Quanto è importante ancora il ruolo di queste potenze in Rwanda?

R. – Il Rwanda, insieme all’Etiopia, è stato negli ultimi anni uno dei pilastri della politica statunitense, nell’Africa, soprattutto nell’Africa orientale. Per Washington perdere un alleato così importante potrebbe dire andare incontro a delle difficoltà in quest’area che è particolarmente delicata. Pensiamo alla crisi in Somalia, quindi la possibilità di infiltrazioni da parte del fondamentalismo islamico in tutta l’area. Il  Rwanda è anche un pilastro della politica economica perché controlla gran parte delle risorse minerarie di cui è ricca quell’area; pensiamo all’oro, al coltan, in futuro anche al petrolio, ai diamanti… Il Rwanda svolge un ruolo molto attivo e non sempre positivo in tutto il Congo orientale.

D. – La vittoria di Kagame vorrebbe dire per l’America perdere il Rwanda?

R. – Probabilmente non lo perderebbe però si raffredderebbero i rapporti, quindi andrebbe incontro a maggiori difficoltà rispetto al passato. Attualmente il legame è molto forte. Un allentamento di questi legami potrebbe portare difficoltà. Nell’Africa gli Stati Uniti stanno affrontando una battaglia globale con la Cina proprio per tenere le proprie zone di influenza. Quindi il Rwanda potrebbe cambiare area di influenza e per gli Stati Uniti potrebbe essere una grossa perdita.

D. – Abbiamo visto situazioni simili in questi ultimi mesi di presidenti che si candidano per una terza candidatura dopo aver emendato le Costituzioni anche in Uganda, in Burundi ... Perché succede questo, cosa manca per una transizione democratica effettiva?

R. – Ci sono tanti fattori. Spesso e volentieri ci sono potenze esterne che favoriscono l’affermarsi in Paesi africani di loro uomini che sanno essere amici e quindi possono garantire l’influenza in questi Paesi. In altri casi ci sono proprio conflitti interni che si coagulano in alcuni personaggi chiave; questi personaggi, rimanendo a vita, favoriscono non solo politiche autocratiche, non democratiche, ma anche una gestione rapace e personalistica delle risorse naturali dei Paesi. Però, se è vero che in alcuni Paesi si sono ricandidati i presidenti per il terzo mandato, ci sono altri Paesi in cui la popolazione ha rifiutato questa cosa: penso soprattutto al Burkina Faso che ha mandato via Blaise Compaoré quando stava tentando di ricandidarsi ulteriormente alla presidenza del Burkina Faso e poi ha sventato un golpe ed è andata alle elezioni democratiche e ha eletto democraticamente un presidente della Repubblica. Quindi c’è un desiderio di democrazia. Spesso e volentieri fattori esterni o fattori interni ma legati a dinamiche internazionali evitano questa svolta democratica.








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