2016-01-04 13:56:00

Dopo i sauditi, anche Bahrein e Sudan rompono rapporti con l'Iran


Continua la crisi tra Arabia Saudita e Iran dopo la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, leader delle comunità sunnite e sciite. Ora anche il Bahrein e altri Paesi musulmani hanno preso provvedimenti contro Teheran, mentre l’Unione Europea ricorda che “nessuno sforzo va risparmiato per evitare l’escalation della tensione”. Il servizio di Michele Raviart:

I diplomatici sauditi, circa 80, hanno lasciato Teheran nella notte, dopo l’attacco alla loro ambasciata, incendiata e saccheggiata da un gruppo di civili. Il gesto, nato dalle proteste per la morte dell’imam sciita Al-Nimr, condannato e ucciso per terrorismo in Arabia Saudita insieme ad altre 46 persone, ha portato a decine di arresti. Un provvedimento non ritenuto sufficiente dal governo saudita, che ha rotto le relazioni diplomatiche tra i due Paesi e ha dato 48 ore di tempo al personale diplomatico iraniano per lasciare il Paese arabo. Interrotti i rapporti con l'Iran anche da parte di Bahrein e Sudan, mentre gli Emirati Arabi Uniti hanno richiamato l’ambasciatore e ridotto il personale a Teheran. Si accentua così la frattura tra mondo musulmano sunnita e sciita, che rischia di ripercuotersi in tutto il Medio Oriente. L’Alto rappresentate per la politica estera europea Mogherini teme che queste tensioni mettano in discussione i colloqui di pace per la Siria delle prossime settimane, mentre la Russia si è offerta di mediare tra i due Paesi.

In questo contesto appare decisivo il ruolo degli Stati Uniti, come spiega Alberto Negri esperto dell'area mediorientale per il “Sole 24 ore”:

R. – Era molto probabile che ci potesse essere un innesco di alta tensione tra Riad e Teheran. Ma questo messaggio, a chi è diretto? Da una parte, ovviamente, agli iraniani, la potenza rivale dei sauditi, e dall’altra parte agli Stati Uniti perché hanno cambiato le regole del gioco nel Golfo facendo questo accordo con l’Iran - il 14 luglio scorso - in cui si è arrivati all’intesa sul nucleare e alla prossima cancellazione delle sanzioni. I sauditi sono in difficoltà perché stanno perdendo la guerra in Yemen, non vincono quella in Siria e quindi chiedono agli americani di tirarli "fuori dai guai". Dalla reazione americana si commisureranno tutte le altre reazioni degli attori della regione, in primo luogo degli iraniani.

D. – Che ripercussioni avrà questa scelta di rompere le relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran in tutta l’area, pensando soprattutto alla Siria …

R. – Ovviamente avrà delle ripercussioni anche sul negoziato che intendono avviare le Nazioni Unite intorno al 20, 25 gennaio. Questo negoziato sulla Siria è decisivo per dare una rappresentanza soprattutto al fronte sunnita di cui i sauditi si fanno portabandiera. Ma, certamente, con la rottura di queste relazioni diplomatiche sarà sempre più difficile arrivare a compromessi.

D. – Si può pensare all’idea che ci sia una guerra diretta tra queste due grandi potenze regionali?

R. – Certamente si può pensare, perché quelle indirette sono state tantissime, a cominciare dall’80 quando Saddam Hussein attaccò l’Iran sciita di Khomeini e i sauditi e le monarchie del Golfo lo finanziarono con 50 miliardi di dollari, una guerra che durò otto anni con un milione di morti. Poi, indirettamente, ci sono state guerre tra sciiti e sunniti, quelle dell’Afghanistan ma anche quella dell’Iraq nel 2003 che portò alla caduta di Saddam e all’ascesa di un governo a maggioranza sciita a Baghdad. In tutto questo è chiaro che questi conflitti come in quelli in Siria sono stati dei conflitti per procura. Uno scontro diretto è possibile, ma certamente tutti gli attori regionali, soprattutto le grandi potenze e in particolare gli Stati Uniti, cercheranno di frenarlo in un momento come questo, perché l’America - lo abbiamo visto - non ha voglia di esser coinvolta in un conflitto mediorientale nell’anno delle elezioni presidenziali.

D. - In che cosa differiscono gli interessi di Arabia Saudita ed Iran?

R. - Differiscono dal punto di vista ideologico, religioso ma anche economico. Quello economico è determinato dal prezzo del petrolio. I sauditi nel novembre del 2014 hanno cominciato una sovrapproduzione per deprimere i prezzi ed occupare quote di mercato, minacciato dallo "shale oil" americano e dal ritorno dell’Iran sui mercati e cercando di metterne con le spalle al muro l’economia. Questa strategia in parte non è solo fallita, ma soprattutto è stata pagata anche dai sauditi. Poi c’è quello religioso tra sunniti e sciiti che ha radici storiche, dal 680, che sono poi state rinnovate negli anni ‘70 e ‘80 con l’ascesa della repubblica islamica iraniana a Teheran.

D. - Il terrorismo può trovare terreno fertile da questa tensione?

R. - Innanzitutto questo conflitto approfondisce ancora di più la disgregazione degli Stati della regione che si trova anche con frontiere sempre più insicure. Questi Stati in qualche modo vacillano nella loro stessa essenza ed è per questo che la situazione è pericolosa; oltre tutto, è chiaro, che questa destabilizzazione e questa disgregazione favoriscono un’ulteriore intensificazione del terrorismo.








All the contents on this site are copyrighted ©.