2016-01-08 14:30:00

Occupazione in ripresa, ma lavoro più difficile per i laureati


Lieve calo della disoccupazione media nell’Eurozona, che al 10,5% a novembre è tornata ai minimi da oltre 4 anni. I dati diffusi da Eurostat contano 16 milioni di disoccupati, 130 mila in meno rispetto ad ottobre scorso. Germania, Repubblica Ceca e Malta sono i Paesi con il tasso più basso. In calo anche la disoccupazione giovanile, al 20% nell’Ue. L'Italia, pur riducendo il tasso al 38,1%, si conferma come uno dei Paesi in cui i disoccupati sotto i 25 anni sono di più. Nonostante la disoccupazione sia ai minimi dal 2012, solo un laureato su due trova lavoro. Tornano invece a crescere gli occupati, 36 mila persone in più hanno trovato un impiego soprattutto grazie all’aumento dello 0,3% delle assunzioni a tempo indeterminato. Quanta rilevanza hanno avuto in questa crescita il "Job's Act" e gli sgravi contributivi per dipendenti permanenti varati dal governo? Veronica Di Benedetto Montaccini lo ha chiesto all'economista, Claudio Lucifora

R. – L’Europa dice che l’Italia è il fanalino di coda tra i Paesi europei in questa fase di ripresa, però i dati confermano in modo abbastanza solido questa leggera ripresa. Il "Job’s Act" non crea di per sé posti di lavoro, questo è stato ribadito da tutti, però non c’è dubbio che possa generare e infondere un po’ di ottimismo e incutere meno timore nelle imprese nell’avviare delle assunzioni.

D. – Si nota l'aumento degli occupati a tempo indeterminato in questi dati Istat. Ma questi sgravi fiscali per le assunzioni permanenti varate dal governo non rischiano di gonfiare l’economia?

R. – Non c’è dubbio che gli incentivi fiscali messi in campo dal governo determinino una componente rilevante di queste trasformazioni. Sono stati introdotti dal governo perché riteneva che ci fosse bisogno di uno shock. Sono stati molto generosi, molto estesi nella loro applicabilità. Ora, il governo li ha già ridotti per il prossimo anno, invece di eliminarli completamente. Vedremo quanto la crescita sia stata "drogata" dall’esistenza di questi incentivi, oppure quanto invece sia effettivamente una crescita dell’occupazione.

D. – La disoccupazione giovanile è scesa dell’1,2%, ma questo è in contraddizione con i dati che riguardano invece i laureati che riescono a trovare lavoro, solo il 53% dei giovani trova lavoro entro i tre anni dalla laurea...

R. – La disoccupazione giovanile – cioè, il tasso di disoccupazione di chi è al di sotto dei 25 – è un indicatore molto, molto importante, ma anche molto sensibile perché una quota rilevante di questa fascia di popolazione è ancora impegnata nello studio. E quindi il fatto che diminuisca è sicuramente un buon segnale. Questa quota di disoccupazione giovanile dovrebbe essere molto sensibile al ciclo, quindi è quella che aumenta molto di più quando le cose vanno male ma è quella che dovrebbe diminuire di più quando le cose vanno bene. L’Italia è un caso anomalo, perché il tasso di disoccupazione dei lavoratori più qualificati – tra questi ci sono sicuramente i laureati – in tutti gli altri Paesi è bassissimo, in Italia invece i laureati continuano a far fatica ad inserirsi nel mercato del lavoro. Questo dipende da quello che gli economisti chiamano il “mismatch”, cioè la difficoltà d’incontro tra la domanda e l’offerta, perchè i giovani sono sovraqualificati rispetto alle mansioni disponibili.

D. – Secondo lei, per quale motivo siamo gli ultimi in Europa, per quanto riguarda il diminuire della disoccupazione?

R. – In Italia, la disoccupazione è cresciuta più lentamente ma progressivamente durante la crisi. l’Italia, all’inizio, non aveva un tasso di disoccupazione così elevato come la Spagna, la Francia o il Portogallo, altri Paesi hanno avuto una disoccupazione molto elevata, ma è calata improvvisamente. In Italia ci sono molte inerzie, c’è molta contrattazione, e quindi la disoccupazione sale più lentamente ma ha continuato a salire anche quando negli altri Paesi la disoccupazione era già scesa. Il fatto che adesso incominci a scendere è sicuramente un buon segno, ma denota innanzitutto l'inerzia dell'Italia e in secondo luogo una disoccupazione che ci portiamo dietro da decenni, che ormai sembra essere strutturale nel nostro Paese.








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