2016-01-14 14:53:00

Escalation terrorismo: Is rivendica attentati a Giacarta


E’ stato un commando terroristico ad entrare in azione stamattina nel centro di Giakarta. Il bilancio per ora è di sette morti, due civili e cinque assalitori. “Hanno voluto imitare le azioni terroristiche di Parigi”, ha detto la polizia che ha confermato la rivendicazione, riportata dalla Bbc, del sedicente Stato islamico che il mese scorso aveva minacciato l’Indonesia. La mente sarebbe Bahrun Naim, un indonesiano combattente in Siria. Calma e collaborazione ha chiesto alla popolazione il presidente Wodobo, mentre dalla comunità internazionale stanno giungendo condanne unanimi. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Dalle 10,30 e alle 15,20 tanto è durato il terrore nel centro di Giacarta oggi. Dverse le esplosioni iniziate nel parcheggio del centro commerciale dell’area di Sarinah, zona molto frequentata, vicina a hotel di lusso, agli uffici delle Nazioni Unite, vicino alla Banca centrale e la sede della presidenza. Punto strategico dunque da cui gli assalitori, tutti neutralizzati a operazione conclusa, sono entrati in azione. In cinque sono stati uccisi, non si capisce se qualcuno si sia fatto esplodere. Due i cittadini coinvolti, uno è canadese. Ferito gravemente un cittadino olandese dipendente dell’Onu. In quattro invece sono stati fermati. Il portavoce della polizia indonesiana ha detto che gli assalitori "hanno imitato le azioni terroristiche di Parigi”. La matrice è l’Is: la probabilità, certezza dopo la rivendicazione, conduce a Bahrun Naim indonesiano combattente in Siria. Ma perché il terrorismo torna a colpire l’Indonesia dopo sei anni di relativa calma e come intendere questa somiglianza con i fatti di Parigi? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Orsini Direttore del Centro per lo Studio del Terrorismo dell'Università di Roma “Tor Vergata” e autore di un libro in uscita sul Califfato:

R. – Non credo che ci sia una relazione così stretta tra i fatti di Giacarta e di Parigi, nel senso che i terroristi, quando devono pianificare un attentato, si preoccupano poco di quello che hanno fatto i loro “colleghi” in altre città. Non dimentichiamo, inoltre, che l’attentato terroristico, che si caratterizza per il fatto di colpire più punti di una stessa città, non è affatto un’invenzione del sedicente Stato Islamico, e non è un fatto che avvenga per la prima volta il 13 novembre 2015. Nel 2005, a Londra, ci fu un attentato in cui 4 kamikaze si fecero esplodere contemporaneamente in punti diversi della città. La ragione per cui in Indonesia torna alla ribalta è che in realtà i terroristi islamici si sono sempre mossi, ma semplicemente hanno avuto difficoltà a organizzare un attentato.

D. – Dopo la Turchia ora l’Indonesia: è possibile che l’asse terrosita si sia spostato in zone extra-europee?

R. – Non parlerei di un asse che si sposta. Parlerei di organizzazioni jihadiste che perseguono obiettivi locali, nazionali, e, giurando fedeltà all’Is, ottengono una serie di risultati importanti. Il primo è propagandistico, perché danno l’idea di essere più forti di quanto in realtà non siano. E il secondo è che in alcuni casi questo corpo jihadista, che si è incentrato in Siria e in Iraq, ha la possibilità di fornire aiuto e assistenza dove questa è necessaria.

D. – L’Indonesia è stata minacciata fino a ieri; in continuazione anche in precedenza sono stati lanciati dei proclami che dicevano di aspettarsi sorprese negative. In questo caso le minacce sono state attendibili. Non è sempre così: come ci si regola a livello di studi e di azione con la questione delle minacce?

R. – Le minacce che provengono dalla leadership di Al Qaeda e dell’Is sono le minacce vere e le uniche - a mio giudizio - che dobbiamo prendere in seria considerazione, perché, come sappiamo, in Internet circola qualunque cosa e non possiamo continuare su questa strada: quella di ritenere che qualunque tipo di minaccia, estrapolata da Twitter o Facebook, sia una minaccia reale. Da quello che noi sappiamo – adesso le informazioni continuano a circolare – l’Indonesia aveva ricevuto delle minacce serie: che provenivano sia dalla leadership di al-Qaeda, di al-Zawahiri, sia anche da quella dell’Is. Più in generale, credo che dovremmo svolgere una riflessione che parta da una constatazione: l’Occidente ha perso la guerra contro il terrorismo. Perché, se poniamo a confronto la situazione in cui ci troviamo oggi, nel 2016, con quella iniziale, del 2001, ciò che registriamo è un dato oggettivo: le forze jihadiste sono avanzate; l’Is si è autoproclamato “Stato” nel giugno 2014, e nel frattempo ha fondato otto province ufficiali al di fuori dei confini della Siria e dell’Iraq. Quindi questo "mostro jihadista", anziché essere contenuto, è cresciuto come dimostra anche questo attentato a Giacarta. Anche i numeri da questo punto di vista parlano chiaro: gli attentati terroristici nel mondo stanno crescendo in maniera esponenziale.

D. – Ma non c’è ancora una risposta altrettanto globale… Si continua a rispondere singolarmente, a livello di nazioni, anche in questo lei vede un ritardo o no?

R. – C’è un grande ritardo, nel senso che tutte le principali potenze coinvolte nel conflitto in Siria contro l’Is stanno anteponendo gli interessi nazionali alla lotta contro l’Is: l’Arabia Saudita, l’Iran, gli Stati Uniti, la Russia, il Qatar, la Turchia. Basti pensare che la Russia, da quando è entrata in azione con i suoi bombardamenti, ha colpito molto di più i ribelli filo-americani e quelli filo-turchi che combattono contro Bashar Al Assad che le postazioni dell’Is. E credo che questo dica tutto sulla frammentazione delle grandi potenze nella lotta contro l’Is e chiaramente indebolisce il fronte occidentale e rafforza al-Baghdadi.








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