2016-01-15 10:54:00

Kenya: dopo la strage di aprile riapre Università di Garissa


Primi giorni di lezione quelli di gennaio, per i giovani keniani nell’Università di Garissa. Una sessantina di studenti, pochi docenti, ma  tanti agenti di polizia in tutta l’area del College. Sono trascorsi infatti nove mesi dal massacro del 2 aprile scorso quando i terroristi somali di Al Shaabab uccisero 148 studenti. Gli 850 sopravvissuti si sono trasferiti altrove, ma il Paese sta cambiando e ci sono tante speranze di un futuro migliore. Ne parla al microfono di Gabriella Ceraso Tommy Simmons, Fondatore di Amref Italia, da anni a Garissa:

R. – Garissa è punto di transito tra – diciamo - la Somalia e Nairobi ed è veramente un po’ un mondo a parte, perché a Garissa etnicamente la popolazione è più vicina ai somali che non ai kenioti degli altipiani e c’è sempre stato un po’ un senso di distacco di questa parte del Paese e la popolazione locale si è sempre sentita un po’ trascurata. La creazione dell’università – l’unica università nel nord-est del Paese – era una speranza di integrazione e anche di educazione e formazione per la popolazione locale. Quando poi c’è stato l’attacco, questa speranza è stata bruciata e molti sono andati via: i centri sanitari sono rimasti sforniti di personale e anche le scuole… L’attentato ha rappresentato un fortissimo impoverimento ed isolamento di tutta questa regione. Quasi tutti gli studenti non locali sono scappati e molti degli studenti locali sono rimasti senza possibilità di educazione. Per cui la riapertura per il nord-est del Kenya è molto importante, perché i giovani hanno così un'università alla quale possono accedere a basso costo.

D. – Leggendo oggi le testimonianze di alcuni studenti si vede sicuramente l’importanza data a questa riapertura, un'importanza simbolica come lei diceva. Ma anche la paura: “Tutto qui – scrivono - ricorda i nostri amici uccisi”. E’ così? Che lavorano è stato fatto? I ragazzi hanno paura?

R. – Io ho incontrato diversi sopravvissuti e ovviamente questi sono ragazzi che saranno traumatizzati per il resto della vita: il terrore che hanno vissuto credo sia difficile da recuperare. Credo che non torneranno, cercheranno un’altra vita da un’altra parte. I ragazzi locali che hanno visto i loro compagni essere uccisi, molto spesso non hanno un'alternativa e per cui torneranno a studiare lì. Se la situazione permane stabile e se l’opinione pubblica e i giovani riescono ad avere fiducia nel governo e nelle forze di sicurezza, gradualmente nuovi studenti arriveranno a Garissa e piano piano si tornerà alla normalità. Ma credo che ci vorrà molto tempo…

D. – I danni materiali alle strutture sono stati sistemati?

R. – I danni strutturali non sono stati grandissimi: il dormitorio, in cui c’è stato il grosso dell’eccidio, è stato completamente rimesso a nuovo, hanno cambiato anche il nome del dormitorio per evitare che ci fosse un ricordo troppo forte… Ma quello che bisogna veramente sistemare è la “struttura” mentale della popolazione e anche del Paese.

D. – Questi ragazzi sono pochi: ce la possono fare a creare una rinascita?

R. – La speranza c’è! Ci sono dei cambiamenti politici, ci sono degli interessi anche economici. Il Paese è veramente molto in movimento: ci sono dei fortissimi investimenti nel nord-est del Paese per cercare di aprirlo e creare un nuovo porto per collegarsi con l’Etiopia; vogliono realizzare strade e ferrovie. Per cui la necessità di mettere in sicurezza il territorio è molto forte, ma i giovani hanno bisogno di avere fiducia nel proprio futuro e hanno bisogno di non sentirsi emarginati. Con questi attentati terroristici la popolazione islamica si è sentita, sia a Nairobi che in altre parti del Paese, abbastanza sotto minaccia, perché – come sempre accade in queste situazioni – tanta gente fa di ogni erba un fascio e non distingue tra chi ha una volontà violenta, terroristica ed estremista e chi ha una vita spirituale normale e vive il proprio credo. Per cui bisogna ricostruire la fiducia, sia da una parte che dall’altra, nella possibilità di vivere insieme e di sconfiggere l’estremismo.








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