2016-01-16 14:15:00

A Giakarta marcia interreligiosa per la pace, ma c'è paura


Anche la Chiesa cattolica aderisce alla manifestazione interreligiosa promossa per questa domenica a Giakarta, in nome della tolleranza e della pacifica convivenza. L’iniziativa lanciata dal Nahdlatul Ulama, il più grande movimento islamico sunnita dell’Indonesia, prima degli attentati di matrice islamica di giovedì scorso, è stata confermata. Adriana Masotti ha sentito il padre saveriano Fernando Abis, da  quasi 45 anni nel Paese asiatico:

R. – L’iniziativa non è stata mai disdetta. Gli attentati non sembravano rivolti a impedire questa iniziativa. La polizia ha subito ripreso il controllo della città.

D. – Quindi anche voi Saveriani parteciperete e  la sua parrocchia…

R. – Sì, noi partecipiamo appunto per parrocchie: siamo 64 parrocchie qui a Giakarta. Ognuna è pregata di mandare almeno 50 persone. Io mi trovo in un quartiere cinese e i cinesi sono traumatizzati dagli avvenimenti del 1998, quando furono vittime di violenze per motivi politici. Perciò qui non aderiscono molto volentieri a questa manifestazione. Riusciamo a mandarne quattro su 50 che erano stati richiesti. Loro hanno davvero paura! Sono sempre molto, molto prudenti. Pensi che la notte di Natale abbiamo dovuto anticipare alle sei di sera, perché hanno paura che la notte qualcuno ne approfitti. È una forma di xenofobia, mascherata da questioni religiose. I cinesi qui sono immigrati: sono ricchi perché lavorano e allora sono invidiati e odiati. Ma la religione non c’entra.

D. – I vescovi, dicendo che avrebbero aderito a questa marcia, hanno detto che bisogna mostrare che la coesistenza pacifica tra le religioni è possibile in Indonesia. Qual è la realtà oggi?

R. – La realtà è che nei rapporti quotidiani tra la gente c’è una tolleranza - diciamo – “da famiglia”: ciascuno rispetta e onora le credenze dell’altro. Ogni tanto qualche leader, un po’ fanatico, eccita, proibisce di qua e di là, ma la gente ama la pace e la concordia.

D. – Oltre ai musulmani e ai cattolici, ci saranno anche protestanti, confuciani: insomma le diverse religioni. Quante ce ne sono in Indonesia?

R. – Quelle ufficiali sono sei: buddisti, induisti di Bali, cattolici, protestanti, islamici e i confuciani. Noi qui, come dicevo, ci troviamo in un quartiere cinese. Alla festa principale dei vari tempietti qui intorno, di tipo confuciano, offriamo ospitalità nei nostri cortili della scuola ecc… per i loro festeggiamenti, perché abbiamo lo spazio. Quindi c’è non solo tolleranza, ma anche collaborazione.

D. – Tornando al mondo islamico, il presidente del movimento che organizza la manifestazione di domani dice che bisogna combattere la percezione che l’Islam non sia una religione pacifica, perché vediamo sciiti e sunniti attaccarsi tra loro…

R. – Purtroppo è la cronaca che parla di questi scontri. Nella vita normale direi che nessuno fa un problema se una persona è di una tendenza o di un’altra. C'è un vero desiderio di pace. Il Nahdlatul Ulama è stata sempre una forma aperta di pratica dell’islamismo, di convivenza pacifica con tutti gli altri gruppi, anche non islamici in Indonesia. E riscuote molte simpatie tra la gente. Rispecchia più che altro la filosofia della concordia, la base filosofica della vita delle persone di Java. Noi ci incontriamo molto facilmente con loro: c’è un buon dialogo a livello di vertici e la gente segue. Queste attività di estremismo sono circoscritte: che parecchi indonesiani siano andati come militanti in Siria, mentre prima andavano in Afghanistan, questa è comunque una realtà.

D. – Lei non vede un pericolo che si possa diffondere l’estremismo?

R. – Non mi sembra il caso. La paura c’è sempre, perché ci sono sempre teste calde, gente senza ideali che poi vengono riempiti di idee così. Quindi la paura in giro c’è, però mi sembra che non ci siano le premesse qui in Indonesia perché prevalga l’estremismo.








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