2016-01-19 19:15:00

Iraq: 19 mila morti e oltre 3 milioni di sfollati in meno di due anni


Assassini, esecuzioni in pubblico, decapitazioni, persone bruciate vive. Ma anche bambini soldato uccisi perché tentavano la fuga, abusi sessuali su donne e minori, 3500 rapiti. Un rapporto dell’Onu sull’Iraq documenta le cifre drammatiche del conflitto in corso nel Paese messo a ferro e fuoco dal sedicente Stato islamico: in meno di due anni si contano 19 mila morti per azioni violente, ma c’è anche chi perde la vita per mancanza di accesso a cibo, acqua o servizi medici essenziali. Cecilia Seppia:

“Un incredibile numero di vittime civili”: si intitola così il rapporto Onu sull’ impatto del conflitto in corso in Iraq dove dal 1 gennaio 2014, al 31 ottobre 2015 si registrano poco meno di 19 mila morti, la metà solo a Baghdad e oltre 36.200 feriti. Ma incredibili sono anche le cifre degli sfollati: 3 milioni e duecentomila, di cui più di un milione sono bimbi in età scolare. Ad impressionare è anche la violenza subita dai civili inermi per mano dell’autoproclamato Stato islamico. I jihadisti rapiscono, torturano, tagliano teste e gole, infliggono punizioni in pubblico, uccidono in modo mirato, chiunque si opponga alla loro ideologia. Inoltre non hanno nessuna pietà per le donne i bambini spesso ridotti in schiavitù, abusati, impiegati come soldati e se provano a fuggire trovano la morte e finiscono nelle centinaia di fosse comuni documentate nel rapporto. Di fronte a tali atti che l’Onu non esita a definire crimini di guerra e contro l’umanità, ma anche genocidio e di cui spesso si macchiano persino l’esercito e i Peshmerga curdi, arriva l’appello accorato del rappresentante speciale delle Nazioni unite in Iraq, Jan Kubis perché la comunità internazionale aiuti il governo a proteggere i civili oltre che negli sforzi di stabilizzazione e ricostruzione del Paese.

In Iraq la crisi umanitaria è destinata ad aggravarsi con le prossime offensive dell’esercito iracheno contro le postazioni del sedicente Stato islamico. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il rappresentante dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati in Iraq, Bruno Geddo, ricordando che negli ultimi mesi è cresciuto nel Paese il numero di cittadini che hanno urgente bisogno di assistenza:

R. – E’ cresciuto perché c’è stata questa offensiva per riprendere Ramadi dai miliziani del sedicente Stato islamico. La città di Ramadi non è ancora completamente sotto il delle forze governative. Era rimasto un gruppo di civili – qualche migliaia di civili –che ha bisogno di assistenza umanitaria di urgenza. Il problema è che Ramadi è soltanto l’inizio…

D. – Negli ultimi mesi, in Iraq, milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni. Una emorragia, questa, destinata dunque ad aggravarsi con le prossime operazioni dell’esercito per riconquistare altre zone del territorio iracheno…

R. – Assolutamente. A Falluja, che dovrebbe essere il prossimo obiettivo militare, si trovano ancora – secondo nostre informazioni – decine di migliaia di civili. E quindi, quando dovesse essere ripresa con una battaglia che si annuncia molto pesante, dovremo far fronte a dei bisogni umanitari ancora più gravi. Senza poi contare Mosul, la madre di tutte le battaglie, che prima o poi dovrà arrivare. A Mosul c’è un milione e mezzo di residenti. Quindi c’è questo problema di un numero crescente di civili che avranno bisogno della nostra assistenza. E coloro che sono già sfollati – 6 milioni e 200 mila – continuano ad avere bisogno. Nel 2014 il cosiddetto Stato islamico ha preso tutti di sorpresa e quindi la risposta è stata un po’ caotica. E questo si poteva comprendere, ma non potremo farci perdonare una risposta caotica la seconda volta. Adesso tutti quanti sanno che ci sarà un’altra crisi umanitaria. Prima o poi arriverà e dobbiamo essere pronti!

D. – Si può pianificare un’azione con il governo iracheno? La Comunità internazionale deve anche poter dare delle risposte di supporto a queste operazioni…

R. – Sì, abbiamo una unità come Nazioni Unite che si chiama “civile e militare”, che tiene le relazioni fra i due corpi. Ma è chiaro che non possiamo sapere esattamente una data, perché questo diminuirebbe l’efficacia di una strategia militare. Una strategia che giustamente noi non conosciamo. La nostra sfida è di essere pronti, di avere siti e luoghi sufficienti per stabilire campi e sufficiente assistenza da fornire. Noi abbiamo 20 mila tende e 20 mila kit di assistenza umanitaria per le famiglie. Dobbiamo essere pronti, senza sapere precisamente quando accadrà…

D. – Qual è, nello specifico, la situazione umanitaria delle minoranze in Iraq? Penso agli yazidi, ai cristiani…

R. – Gli yazidi si trovano nei campi di sfollati. In generale, la situazione umanitaria è relativamente stabile perché ricevono assistenza e protezione in questi campi. Ma purtroppo la situazione degli yazidi e delle altre minoranze è preoccupante da un altro punto di vista. E’ preoccupante dal punto di vista psicologico: queste minoranze, dopo le atrocità inimmaginabili alle quali sono state sottoposte, non hanno più la fiducia necessaria per convivere con i loro vicini. Sembra che una maggioranza di queste minoranze sia arrivata alla conclusione che per loro l’unica garanzia di salvezza sia la migrazione verso l’Europa.

D. – Dunque diverse zone del territorio iracheno sono controllate da milizie jihadiste che possono anche disporre di ingenti risorse legate non solo al petrolio. Come si può isolare il sedicente Stato islamico dal sistema finanziario internazionale?

R. - Quello che le posso dire è che ci sono stati, da lungo tempo, degli sforzi della coalizione per isolare tutti i finanziamenti ai terroristi. E, più recentemente, camion cisterna che portavano il petrolio in Turchia sono stati annientanti… Secondo le informazioni in mio possesso, grazie a queste azioni di isolamento finanziario, i flussi di finanziamento allo Stato islamico sarebbero in diminuzione.








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