2016-01-22 13:40:00

Laterano: incontro su "La Vocazione di Matteo" del Caravaggio


La Vocazione dell’Apostolo Matteo nella celebre opera di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, è stato questo il tema della seconda serata del ciclo delle Letture Teologiche, promosse dalla diocesi di Roma, che si è svolta ieri sera nel Palazzo Lateranense. Filo conduttore degli incontri che si concluderanno giovedì prossimo: “La Misericordia nell’Arte”. Il servizio di Marina Tomarro:

Un volto illuminato da una luce fino ad allora  sconosciuta, quella della grazia divina, uno sguardo che si alza verso una mano indicante come a dire:  "Chi, io Signore? Stai chiamando proprio me?". E’ la Vocazione di Matteo dipinta dal Caravaggio nel 1600 e che fa parte di un ciclo di tre tele dedicate all’Apostolo conservate nella Cappella Contarelli, della Chiesa di San Luigi dei Francesi. Il commento di mons. Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio Catechistico della Diocesi:

R. - Matteo, bisogna dire innanzitutto, è l’Apostolo che era più lontano dal bene. Mentre gli altri, comunque, facevano un lavoro positivo, la figura di Matteo ha sempre colpito i pittori perché era una persona che si occupava di soldi, era un ricco, un benestante … Ed è interessante che Gesù ha interesse per queste persone. Caravaggio manifesta questo cambiamento con questa straordinaria luce che viene dall’alto; nella stessa Cappella c’è il Cavalier D’Arpino che la mostra come una luce naturale, quando San Matteo guarisce il figlio del re Egippo. Invece, lì è una luce che non si sa da dove venga: ed esattamente così è la Vocazione. Cioè, uno non si aspetta che Cristo ti chiami. La chiamata ti arriva! La tensione è manifestata anche da queste mani … Ma la vocazione non è solo in quell’opera, è anche nel fatto che quella tela è completata dalla tela di “San Matteo che scrive il Vangelo” e di “San Matteo che battezza e celebra la Messa”, perché la vocazione non è solo essere chiamati nel primo momento, ma poi fare una vita di annunzio del Vangelo di bene. Ed è interessante che proprio da quest’opera che Papa Francesco, quando era ancora giovane studente, andava a contemplare, andava a pregare lì, ha tratto il motto miserando atque eligendo: perché Dio, siccome ha misericordia, ti chiama; cambia la tua vita e ti dà la possibilità di fare del bene.

D. – Qual è il messaggio che oggi ci arriva dal Caravaggio?

R. – Il Caravaggio è amatissimo, ed è interessante il fatto che fino al 1950 non lo amava nessuno: è una scoperta recente. Purtroppo, il Caravaggio viene visto con dei cliché assolutamente falsi, come un “pittore maledetto”, mentre è un pittore che aveva i suoi peccati ma poi voleva tornare a Roma, amava i papi, amava i cardinali … Un personaggio pienamente inserito nella Chiesa del tempo che era molto più libera di quanto non si pensi. Secondo me, la grandezza del Caravaggio – se uno lo comprendesse – è proprio in questo mostrare il nero della vita, le tenebre della vita. Caravaggio è uno che sa che il male esiste ma anela a una luce più grande; Caravaggio è uno che non si rassegna al fatto che il nero sia la tonalità della vita.

Ma la chiamata non è solo alla vocazione sacerdotale: può essere anche a un lavoro, come ad esempio quello di tanti operatori sanitari che mettono al centro della loro vita la sofferenza del fratello malato e che diventa ancora più forte quando ci si trova di fronte, come pazienti, dei bambini. Ruggero Parrotto, responsabile delle risorse umane dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma:

R. – La vocazione, per me, è la vocazione che hanno tutte le persone: pochi ne sono consapevoli e quelli che riescono – grazie a educatori sensibili, accoglienti – a stimolare nei giovani e quindi negli adulti questa consapevolezza, sviluppano la straordinaria esperienza della possibilità di scegliere, la libertà di scelta di capire che cosa dà senso alla propria vita e di riuscire a farlo insieme agli altri.

D. – Lei è a contatto ogni giorno con la sofferenza: cosa è la misericordia verso la sofferenza?

R. – E’ la scelta di infermieri, tecnici, medici di non dare solo competenza, ma di dare presenza, empatia, attenzione alle famiglie, capacità di stare affianco di chi soffre, di chi lotta, di chi sperimenta il coraggio e di chi a volte, purtroppo, deve anche alleviare le pene di dolori incredibili. Sperimentare la misericordia della vocazione in un ospedale è un’esperienza di frontiera: si è a contatto con le emozioni e le sensazioni più forti, e quindi è un privilegio. In fondo, è un grande privilegio perché interloquire, condividere con persone che fanno di tutto per essere accanto a chi soffre, è un’esperienza umana e professionale straordinaria.








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