2016-01-23 14:36:00

Vescovo armeno Aleppo: siamo stremati, ma non cediamo all'odio


Ancora incertezza sull’inizio dei colloqui di pace per la Siria, previsti a Ginevra per il prossimo lunedì. Il nodo cruciale è la composizione dei rappresentanti dell’opposizione al governo di Bashar Al-Assad. Proprio per la crisi siriana si è svolta venerdì sera, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, una preghiera per la pace in Siria, organizzata dalla Comunità di S.Egidio e presieduta dall’arcivescovo armeno apostolico di Aleppo, mons. Shahan Sarkissian. Ascoltiamolo al microfono di Michele Raviart:

R. – In Aleppo the tragedy is continuing…
La tragedia continua ad Aleppo. Una persona che vede ora Aleppo non può immaginare come fosse prima dei bombardamenti, dei combattimenti e della guerra. Al momento non c’è acqua, non c’è elettricità, non ci sono comunicazioni. Ed ora che è arrivato il freddo e non c’è più benzina, usiamo il gasolio per scaldare le case e le scuole. La sofferenza è davvero grande.

D. – Come si vive quotidianamente in una città sotto assedio?

R. -  You mentioned that generally Aleppo…
Aleppo è circondata da gruppi differenti che combattono l’uno contro l’altro. C’è una sola strada vecchia e stretta per uscire, e a volte è chiusa. Sfortunatamente c’è anche lo Stato Islamico e fa paura. Penso, però, che nei media occidentali si esageri il potere dello Stato Islamico, anche se è arrivato e ha compiuto atti terroristici.

D. – Di cosa ha bisogno maggiormente la popolazione?

R. – Generally, there are four categories…
Ci sono quattro tipi di aiuti necessari. Il primo bisogno è quello di dare qualcosa da mangiare alla gente; il secondo è l’assistenza sanitaria, che è davvero essenziale, perché molti medici hanno lasciato il Paese; terzo, nel momento in cui finisce il bombardamento, bisogna rimettere porte e finestre nelle case e nelle scuole; quarto, l’educazione. Stiamo aiutando i ragazzi, acquistando quello che è necessario per studiare e pagando gli insegnanti.

D. – Ad Aleppo ci sono undici comunità cristiane, come sono i rapporti tra loro e con la comunità musulmana?

R. – With this situation we are used…
In una situazione del genere, come comunità cristiana, siamo abituati a stare insieme. Sperimentiamo la fratellanza ecumenica tra le Chiese, non solo al più alto livello, cioè tra i vescovi e i rappresentanti, ma anche tra la gente comune. E la stessa cosa vale anche per i cristiani e i musulmani.  La guerra credo che abbia cambiato molte cose. Un giorno forse dovremo parlare di tutti i cambiamenti che si sono verificati, non solo quindi della distruzione del Paese, degli edifici, ma forse anche della mentalità. Non ricordo che prima della guerra ci fosse questa nozione di “ghetto”: cristiani e musulmani stavano insieme, anche se alcune zone erano tipicamente cristiane, con chiese e così via. Ora, però, si sono mescolati e nello stesso edificio si possono trovare cristiani, musulmani, altre minoranze o persone provenienti da parti differenti del Paese, non solo della città.

D. – Di che cosa c’è bisogno, secondo lei, per porre fine a questa guerra?

R. – There must be a solution…
Ci deve essere una soluzione e la soluzione non deve essere militare, ma politica. Nella Chiesa cattolica quando viene eletto il Papa c’è il Conclave. Bisogna riunire insieme nello stesso posto i rappresentanti siriani e devono imporsi di raggiungere la pace. I siriani possono trovare la soluzione tra di loro. So che non c’è altra soluzione. Le risoluzioni delle Nazioni Unite, del Consiglio di Sicurezza e così via non sono sufficienti.

D. – Discutere con tutti include i terroristi?

R. – What is terrorism is excluded…
Ciò che è rappresentato dal terrorismo è escluso. Non si può discutere di pace con i terroristi. Non si può accettare di collocare i terroristi con l’opposizione o con il governo. Il terrorismo non ha religione, non ha cultura, non ha credo, niente, è violenza totale, non ha niente di umano, non ha niente di religioso. Il terrorismo deve essere estirpato.

D. – Cosa può fare la comunità cristiana per il futuro della Siria?

R. – As Christians we must participate…
Come cristiani dobbiamo partecipare alla ricostruzione del Paese. Personalmente non sono solo un arcivescovo o un funzionario nella Chiesa, ma sono prima di tutto un credente. Io credo che il mio Signore mi protegge, ci protegge! Ed io non sono un uomo coraggioso, sono un uomo responsabile: sto con la mia gente, con la mia comunità. Anche se ci sono persone che se ne vanno e lasciano il Paese, noi dobbiamo restare, dobbiamo continuare insieme. E le comunità cristiane o la cristianità in Medio Oriente deve continuare a dare la sua testimonianza. Siamo stati testimoni con il sangue, con il martirio, siamo stati testimoni con il servizio, siamo stati testimoni con la cultura, e stiamo facendo del nostro meglio, aspettando che l’aiuto arrivi dall’Onnipotente.








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