2016-01-24 12:30:00

Birmania. Amnistiati 101 prigionieri, metà per reati politici


Sono oltre 52 i prigionieri politici birmani rilasciati in questi giorni, nell'ambito di un'amnistia concessa dalle autorità a 101 prigionieri –  molti i criminali comuni –  che si vanno a sommare ai 1.300 detenuti liberati dal 2011 a oggi, cioè da quando è iniziato il processo di riforme del governo Thein Sein. Lo specifica l'Associazione per l'assistenza ai prigionieri politici che dalla Thailandia monitora le condizioni dei detenuti di coscienza in Birmania. Restano in carcere ancora un ottantina di detenuti di coscienza, mentre altri 408 sono in attesa di processo. Intanto, a fine mese il nuovo parlamento birmano si riunirà per iniziare le procedure per l'elezione del prossimo presidente, che entrerà in carica a marzo. Sulla liberazione dei detenuti, ascoltiamo Cecilia Brighi, segretario generale dell’Associazione “Italia Birmania insieme”, al microfono di Marina Tomarro:

R. – Su 101 detenuti, solo 52 sono prigionieri politici, mentre nella lista dei prigionieri politici ancora in carcere ce ne risulta un numero molto alto: sono 78 le persone che non sono state liberate. E poi ci sono circa 400 persone in attesa di giudizio, che non sono in carcere ma che rischiano di essere condannate per reati politici. Quindi, questo fatto dell’amnistia è importante. Il presidente della Repubblica birmana nel corso del suo mandato ne ha liberati oltre mille. Però, certo, è preoccupante il fatto che persone come il monaco U Gambira sia stato arrestato nei giorni scorsi proprio perché aveva partecipato ed era tra i leader della “rivoluzione dello zafferano”. Questo è uno degli esempi di persone che rischiano di restare in carcere.

D. – La vittoria alle elezioni dello scorso novembre della Lega nazionale per la democrazia (Lnd) di Aung San Suu Kyi quanto ha influito secondo lei?

R. – È stato un fatto importantissimo. Sono state delle elezioni storiche: Aung San Suu Kyi ha vinto con il 77% tutti i seggi nel parlamento nazionale, nei parlamenti regionali e dei singoli Stati. L’andamento delle elezioni è stato molto positivo, le norme internazionali sono state rispettate. Quindi, è stato importante legare l’amnistia al buon andamento delle elezioni e questa è stata la motivazione per cui sono stati liberati i detenuti. Certo è che alcuni sono ancora in carcere e anche ridotti al lavoro forzato.

D. – Qual è la situazione delle carceri nell’ex Birmania?

R. – Le carceri birmane sono delle carceri molto dure, che prevedono anche il lavoro forzato. Sono carceri in cui le condizioni di vita sono pesantissime. I detenuti politici sono stati vittime anche di torture. C’è un problema ancora oggi presente nelle carceri birmane.

D. – Con la vittoria di Aung San Suu Kyi  è iniziato anche un cammino di pace per il Paese. Ma allora come si presenta la situazione attuale?

R. – Il parlamento si riunirà per la prima volta il primo febbraio. Il nuovo parlamento dovrà nominare il presidente della Repubblica e i due vicepresidenti. Poiché la Lnd ha vinto le elezioni può candidare il presidente della Repubblica. Questo è un fatto molto importante, anche se Aung San Suu Kyi non potrà essere presidente, perché è bloccata dalle norme costituzionali attuali. Il processo di pace sarà uno degli elementi fondanti del percorso del nuovo parlamento e del nuovo governo. E infatti, dopo la prima Conferenza di pace, che si è svolta nei primi di gennaio e che è stato un ultimo appuntamento del vecchio governo, Aung San Suu Kyi ha dichiarato che ci sarà un processo di pace molto inclusivo, che coinvolgerà tutte quelle nazionalità etniche che ancora non hanno firmato l’accordo per il cessate-il-fuoco. E ci saranno degli sviluppi – ci auguriamo – anche sul piano del federalismo e dell’inclusione di tutte le nazionalità etniche nei processi decisionali anche di carattere economico. È un fatto storico che Aung San Suu Kyi e il suo partito abbiano vinto e altrettanto sarà fondamentale per la crescita del Paese raggiungere un accordo di pace con tutte le nazionalità etniche, che veda una prospettiva di inclusione sociale di tutti i cittadini birmani e di tutte le etnie.








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