2016-01-26 15:15:00

Bruxelles: stiamo salvando Schengen con la sua applicazione


La Commissione europea è pronta a “qualsiasi eventualità” e prende in esame “tutte le opzioni legislative”, dopo che una larga maggioranza degli Stati membri dell’Ue ha chiesto di prolungare fino a due anni i controlli alle frontiere interne dello spazio Schengen. "Stiamo salvando Schengen attraverso la sua applicazione". Così i portavoce della Commissione Ue spiegano la preparazione delle procedure per l'attivazione dell'articolo 26. Sono sei i Paesi – Austria, Germania, Svezia, Norvegia, Francia, Danimarca – tornati a chiedere i documenti a chi vuole entrare nel loro territorio. La Polonia, intanto, ha annunciato che porrà il veto a qualsiasi nuovo piano dell'Unione che obblighi gli Stati membri ad accettare quote di migranti. Ci si sta giocando il futuro dell’Europa unita sulla mancata risposta dell’Unione Europea sui migranti. E’ l’opinione di Stefano Lusa, giornalista di Radio Capodistria e corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso, esperto di Slovenia e Balcani, al microfono di Emanuela Campanile:

R. – C’è un po’ una percezione, guardandola dalla periferia dell’Unione Europea – la Slovenia è il primo Paese dell’area Schengen – che i Paesi siano lasciati a fare un po’ come credono, anche se l’Italia, per esempio, ma anche la Slovenia stessa avevano chiesto, anche in tempi non sospetti, di trovare una politica comune a livello europeo sulla “questione migranti”, politica che non è arrivata. E qui ci si gioca il futuro dell’Europa, anche perché singoli Paesi ritengono di dover prima di tutto pensare ai proprio interessi nazionali.  E da questo punto di vista, mi pare che il rischio sia che ci troviamo di fronte a una nuova età dei nazionalismi che potrebbe far crollare, o almeno sconquassare fortemente, quello che è stato il più grande progetto di pace che sia stato messo in piedi negli ultimi anni, che è l’Unione Europea, che ha garantito decenni e decenni di pace. Ecco, mi sembra che qui la responsabilità dei politici sia enorme, mi sembra che i meccanismi di decisione dell’Unione Europea si siano dimostrati assolutamente inefficienti a gestire la crisi e le emergenze. Speriamo di uscirne con un’Unione Europea rafforzata, anche se i pericoli di rompere il giocattolo, secondo me, sono enormi.

D. – Nella zona dei Balcani, come viene vista l’Unione Europea?

R. – Mi sembra che proprio sulla questione migranti, oltre ai Paesi del Nord Europa e quelli che affrontano la crisi dei migranti, c’è anche un confronto tra Est e Ovest, tra un modello di società multiculturale, anche aperta a un certo tipo di immigrazione che abbiamo a Occidente, e tra una serie di Paesi orientali di nuova entrata nell’Unione Europea, da Varsavia a Lubiana, che percepiscono i profughi e la creazione di società multiculturali come vere e proprie minacce per le loro identità nazionali. Quindi, gli argomenti e i motivi di frattura, proprio sulla questione migranti, sono diventati abbastanza significativi. Da questo punto di vista, il leader ungherese Orbàn è diventato in qualche modo il capofila: è colui che ha espresso chiaramente queste paure che sono state fatte proprie da governi, sia di destra sia di sinistra, del centro Europa, dalla Slovacchia per arrivare alla Polonia.








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