2016-01-26 12:45:00

Libia: trattative in corso dopo lo stop al governo Sarraj


In Libia proseguono le trattative dopo che il parlamento di Tobruk ha negato la fiducia al governo di unità nazionale del premier designato al Sarraj. La presentazione della nuova compagine – frutto degli accordi siglati lo scorso mese di dicembre - avverrà nell’arco di una decina di giorni. Ma cosa significa questa bocciatura? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Paolo Sensini, analista internazionale:

R. – Già questo governo di Sarraj non godeva di appoggi generali in Libia; anzi, non godeva proprio di appoggi “tout court”. E quindi era piuttosto prevedibile che sarebbe finita così. Una minoranza davvero risicatissima lo sostiene: è una figura nominata da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, e, buon ultima l’Italia. Quindi è un uomo che serve e che fa agio soprattutto ai nostri interessi, ben poco a quelli libici.

D. – Tra i punti più controversi c’è il controllo delle Forze armate: cosa ci possiamo aspettare al riguardo?

R. – Sembrava prevedibile che fosse Khalif Haftar a Tobruk a diventare ministro della Difesa, che di fatto è colui che controlla le forze più consistenti. Non essendo avvenuto questo, è ovvio che c’è stata una levata di scudi. Del resto, qual è il motivo per cui Sarraj è stato nominato? Perché chieda un intervento militare, ed è un’operazione che sia il ministro degli Esteri italiano, Gentiloni, sia Kerry, avevano già paventato a più riprese. Ed è una prospettiva che non alletta la gran parte dei libici, e che rischia soprattutto di essere un’altra operazione di impantanamento incredibile, come quella che ha causato il caos libico nel 2011.

D. – Quindi sullo sfondo c’è una mancanza di sintonia tra gli interessi della comunità internazionale e delle fazioni libiche?

R. – Certamente. Avendo tolto Gheddafi come leader si è aperto un ginepraio che in parte era uno scenario prevedibilissimo già all’epoca. Adesso con questa operazione di Sarraj si è tentato di creare un’opportunità per far rientrare truppe - truppe militari Nato o di alcuni Paesi Nato - ma ovviamente questa non è una prospettiva che alletta i libici. E, tra l’altro, neppure dal nostro punto di vista credo sia un’opportunità, perché probabilmente si sottovaluta qual è la situazione reale lì. Sarebbe un impantanamento davvero incredibile, tra l’altro a poche centinaia di km dal confine italiano.

D. – C’è il pericolo di una sempre maggiore saldatura tra il sedicente Stato Islamico e Al-Qaeda nel Paese?

R. – Sin dall’inizio, da quando sono scoppiate le rivolte nel febbraio del 2011, Gheddafi - chi ha seguito un po’ quella vicenda lo ricorda - parlava già di gruppi e truppe di Al-Qaeda, quelli che però noi in Occidente nominavamo come sinceri ribelli democratici. Quelli che erano lì allora sono quelli di oggi e in più si sono moltiplicati. Ovviamente, in una situazione di caos di questo genere sono proliferate questo tipo di truppe che sono il “collante” nello sfascio generale. E quindi questa è un’altra delle colpevoli responsabilità che portano coloro che hanno fatto questo tipo di intervento, e che ancora non hanno risposto di questa gravissima situazione che hanno creato. Ricordo solamente le e-mail che sono state pubblicate tra Sarkozy e la Clinton, in cui l’allora Presidente francese le diceva sostanzialmente che volevano entrare il Libia per prendere direttamente le risorse che ai francesi interessavano. E soprattutto perché la creazione di un dinaro d’oro – spinta da parte di Gheddafi – rischiava di creare problemi grandissimi al franco Cfa, che è la moneta di scambio per tutto il Sahel. Quindi interessi molto corposi mascherati dietro foglie di fico umanitarie, che hanno creato questo caos e che oggi rischiano di aggravarlo nuovamente.








All the contents on this site are copyrighted ©.