2016-01-27 12:11:00

P. Benedettini: vi racconto i miei 20 anni alla Sala Stampa Vaticana


Il 31 gennaio prossimo, dopo vent'anni di servizio, padre Ciro Benedettini lascerà l’incarico di vice-direttore della Sala Stampa della Santa Sede. A succedergli sarà il giornalista statunitense Greg Burke. Nell’intervista di Alessandro Gisotti, padre Ciro Benedettini racconta i suoi anni passati al servizio di tre Papi e si sofferma su come sia cambiata la comunicazione vaticana dal suo arrivo in Sala Stampa ad oggi. Innanzitutto, però, padre Ciro, con semplicità - così come è conosciuto con affetto dai vaticanisti di tutto il mondo - confida i sentimenti che prevalgono in lui in questo momento:

R. – Con un misto di sentimenti, in parte gioia e in parte tristezza, ma domina la gioia. Domina la gioia perché sono grato al Signore che mi ha dato l’opportunità di lavorare per la Chiesa, al servizio di tre Papi e che Papi! Uno di questi poi è Santo e non capita a tutti di essere stati vicino a un Santo e non solo di averlo visto, ma di averci parlato, di averci mangiato insieme, di averlo servito per tanti anni: Giovanni Paolo II. C’è anche un po’ di tristezza, a dire il vero - perché sono stati 20 anni - soprattutto verso il personale della Sala Stampa: con la maggior parte di queste persone ho lavorato per 20 anni. Quindi c’è un rapporto affettivo. Ma anche con la stragrande dei giornalisti ho avuto un ottimo rapporto.

D. – Lei è stato vice-direttore della Sala Stampa della Santa Sede per 20 anni, al servizio – appunto – di tre Pontefici. Quali sono stati, secondo lei, i cambiamenti più significativi nel modo di lavorare e di comunicare proprio alla Sala Stampa?

R. – Cambiamenti radicali! Quando sono venuto c'era ancora tutta una informazione data sulla carta, una informazione cartacea. Ricordo che – esattamente un anno dopo il mio arrivo in Sala Stampa – nel Natale del 1995, insieme al dott. Navarro-Valls riuscimmo ad installare Internet: credo che sia uno dei miei punti di onore, di aver cioè fatto parte di questo team che ha portato avanti questo nuovo mezzo di comunicazione così importante nella Santa Sede. Man mano che si è andati avanti, la digitalizzazione e l’informatizzazione è progredita fino a rendere quasi soltanto complementare la parte cartacea. L’altra grande novità – a mio parere – è il fatto che c’è questa esplosione dell’informazione. Una ventina di anni fa la rassegna stampa e il monitoraggio era semplice: una ventina di giornali e riviste ed era fatta. Adesso con i blog, con i social media, c’è una esplosione tale di informazione che è difficile realmente controllarla. Anche perché, anche se non è quella ufficiale - come quella delle agenzie - ma semplicemente quella dei social media, spesso ha un'influenza molto importante e molto grande. Non si può non tenerne conto. Il problema è che, quando io sono venuto qui, i giornalisti per avere l’immediatezza dell’informazione vaticana erano "costretti" a venire in Sala Stampa: adesso siamo noi, con Internet, che li inseguiamo, che mandiamo l’informazione vaticana ad inseguirli dovunque sono! E questo è ovviamente un guadagno per l’immediatezza dell’informazione, per la rapidità; d’altra parte, però, non guardi più in faccia gli occhi del giornalista e questa penso che sia una grossa perdita: molti giornalisti noi li vediamo solo nelle grandi occasioni…

D. – In base alla sua esperienza, quali consigli si sentirebbe di rivolgere a quanti nella Chiesa – a diversi livelli – stanno per intraprendere il servizio della comunicazione?

R. – Lei ha usato la parola “servizio” e mi sembra che questa sia proprio la risposta migliore. Tutta l’informazione e in modo particolare l’informazione ecclesiastica deve essere intesa come un servizio, un servizio alla Chiesa, un servizio agli altri, un servizio alla verità. Dobbiamo essere coscienti che, dando le notizie, noi diamo agli altri dei mezzi di interpretazione della realtà che ci circonda. E quindi dobbiamo avere una umiltà, una prudenza e un rispetto grandissimo nel dare queste informazioni. Io penso che uno dei problemi grossi sia quello della fretta, che costringe ad essere superficiali.

D. – C’è un ricordo, un aneddoto, tra i tanti che ha, che vuole condividere per sintetizzare in qualche modo la sua esperienza bella, gioiosa – come ha detto lei – lunga e appassionante alla Sala Stampa?

R. – Io ricordo un fatto che è avvenuto a dire il vero un anno prima della mia assunzione qui alla Sala Stampa: ero qui per il Sinodo e il Santo Padre, insieme ai segretari linguistici, mi invitò a cena. Io ho presente il Santo Padre, che era proprio di fronte a me con i suoi occhi che interrogava: "Cosa fai? cosa non fai?". E ho visto la curiosità di questo uomo e ho pensato che spesso diciamo che le nostre autorità sono chiuse in una torre d’avorio, lontane, non conoscono la realtà… Questo Papa – eravamo in 6 – ad ognuno ha fatto dire cosa facesse, cosa non facesse, cosa pensasse del Sinodo e di tutto il resto! Quindi realmente si informava. Questo è uno dei ricordi più belli che ho di Giovanni Paolo II. E poi sempre di Giovanni Paolo II ho un altro ricordo, che magari per qualcuno potrebbe essere triste, in realtà io la chiamo “un’epopea”, e sono gli ultimi giorni di vita di Giovanni Paolo II e il suo funerale… Noi eravamo “fasciati” – oserei dire – dalla gente, ma questa gente era silenziosa, appena sussurrava le preghiere; e poi ricordo che quando abbiamo annunciato la morte, i giornalisti venivano a portarci le condoglianze e c’erano delle persone che erano fuori la Sala Stampa, sotto i propilei, che chiedevano - anche loro - di entrare per venire a farci le condoglianze e ce le facevamo reciprocamente, perché tutti sentivamo che avevamo perduto una persona veramente cara. Io la chiamo “epopea” perché c’era come una osmosi tra noi e la folla: i sentimenti della folla erano i nostri, i nostri erano i sentimenti della folla. Certo, abbiamo sentito il dolore per la perdita del Papa, ma – nell’insieme – c’è stato questo trionfo di unità verso il Santo Padre e quindi un trionfo anche di fede, fede nella vita eterna.








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