2016-02-04 08:03:00

Siglato il Tpp, l'accordo di libero scambio Trans-Pacifico


Un accordo che cambierà i rapporti economici globali nei prossimi anni. Si tratta del Partenariato Trans-Pacifico, il cosiddetto Tpp, siglato poche ore fa ad Auckland, in Nuova Zelanda, dai ministri del Commercio di Stati Uniti e altri 11 Paesi. L’intesa liberalizza gli scambi in un’area che rappresenta quasi il 40% del commercio mondiale. Ce ne parla Giancarlo La Vella:

Le due sponde dell’Oceano Pacifico stringono un patto decisivo per la facilitazione e il conseguente aumento degli scambi di merci. L’intesa di Auckland di fatto assegna agli Stati Uniti il ruolo di Paese leader del commercio nell’area e rafforza la partnership di un organizzazione, della quale, oltre a Washington, fanno parte Australia, Nuova Zelanda, Canada, Cile, Perù e, sul fronte asiatico, Giappone, Malesia, Vietnam e Brunei, ma alla quale guardano con attenzione, tra gli altri, Filippine, Taiwan, Indonesia, Sud Corea, India e Thailandia. In attesa delle rispettive ratifiche, il presidente Obama plaude all’accordo e sottolinea il compito decisivo che gli Usa potranno avere nel 21.mo secolo in un’area altamente dinamica da punto di vista economico. Una sorta di sfida al colosso cinese, che, invece, continua a tessere la sua economia sulla base di rapporti bilaterali.

Per un'analisi sulla storica intesa, che liberalizza gli scambi in un’area pari al 40% del commercio mondiale, Giancarlo La Vella ha intervistato l’economista Riccardo Moro:

R. – Quest'accordo forse è più uno strumento di carattere geopolitico, che non commerciale ed economico. Nel senso che in questo trattato sono contenuti non solamente accordi tecnici, che facilitano i commerci, riducendo le barriere a questi ultimi, ma ci sono anche regole. E questo va obiettivamente riconosciuto. Ad esempio è citato il Codice del Lavoro dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), perché i prodotti esportabili siano frutto di un processo all’interno del quale c’è stato un rispetto dei diritti dei lavoratori ecc. Questa cosa è relativamente nuova rispetto ad altri trattati commerciali. Quello però che mi sembra rilevante è proprio il fatto che, anche in questo cercare di definire delle regole, c’è soprattutto il tentativo di creare un gruppo di Paesi che hanno relazioni privilegiate e non sono Paesi che fanno parte di aree regionali, che tradizionalmente lavorano in comune.

D. – Il Tpp rappresenta una sorta di sfida al colosso cinese, che continua, invece, con una politica economica fatta di intese bilaterali...

R. – Sì. La Cina non riesce a esercitare una leadership nella creazione di aree multilaterali. La risposta degli Stati Uniti, in questa che, di fatto, è una competizione molto pesante - ed è dunque una competizione politica, non soltanto economica e commerciale - ovviamente è quella di creare un’area più condivisa, in cui non ci siano solo dei rapporti commerciali o bilaterali, ma ci sia un’intesa più partecipata da un numero più grande di attori. Per cui, non è ancora un quadro che coinvolge tutti tranne la Cina; però è chiaro che la tendenza e il disegno sono quelli di creare un quadro forte, che possa essere domani inclusivo e nel quale la Cina poi possa chiedere di entrare, ma in cui le regole non siano monopolizzate da Pechino con rapporti bilaterali, ma siano condivise.

D. – L’economia mondiale sembra andare verso una realtà di macro-strutture: questo vuol dire mettere in crisi le economie più piccole dei Paesi in via di sviluppo?

R. –  Se si guarda ai risultati degli accordi di questo tipo più antichi, non è detto che i Paesi in via di sviluppo abbiano pagato dei prezzi più alti. C’è dall’altra parte un rischio ed è quello che la richiesta di rispettare determinati standard, che è in sé positiva per certi aspetti, possa, nel caso, ad esempio, dei prodotti farmaceutici, invece, comportare un generale aumento dei prezzi. Questo è ciò che sta facendo più paura, soprattutto nelle società civili del Sud del mondo.








All the contents on this site are copyrighted ©.