2016-02-05 08:00:00

10.mo morte don Santoro. La sorella: suo sacrificio seme di misericordia


Il 5 febbraio di 10 anni fa, don Andrea Santoro, sacerdote fidei donum della diocesi di Roma, veniva ucciso nella Chiesa di Santa Maria a Trabzon, in Turchia, mentre pregava con la Bibbia in mano. Nel decennale del suo sacrificio, il cardinale vicario Agostino Vallini celebrerà una Messa in suo ricordo nella Basilica di San Giovanni Laterano, oggi alle 19.00. Alessandro Gisotti ha chiesto alla sorella di don Andrea, la prof.ssa Maddalena Santoro di soffermarsi sui frutti spirituali sbocciati in questi dieci anni grazie alla testimonianza del sacerdote:

R. – Il vissuto con don Andrea non è terminato, finito nel momento della morte o quando lo si è visto e ci si è parlato per l’ultima volta, ma è continuo. Molte persone, oltre a me che lo sento vivo, dicono: “Quello che ho vissuto con don Andrea, i suoi insegnamenti spirituali, i suoi orientamenti, le sue esortazioni, sono presenti”. Questa maturità cresce, proprio nel senso di radicamento nella Parola di Dio e nelle indicazioni che vengono dalla Chiesa.

D. - La testimonianza di suo fratello è stata quella di un cristiano in un contesto musulmano. Da alcuni è stato definito “l’uomo dell’incontro, nel tempo dello scontro di civiltà”. Questa è una testimonianza che in qualche modo serve ancora di più oggi rispetto a dieci anni fa …

R. - È vero. Infatti noi vediamo che negli scritti di quell’epoca di don Andrea – parlo di scritti, quindi lettere personali, private, pubbliche, che erano quelle che ci inviava proprio per comunicarci il suo vissuto in Turchia come fidei donum – c’è tanta profezia: lui ha anticipato i tempi in quello che ha detto. Ad esempio, lui già diceva proprio nel momento in cui partiva nel 2000: "Io vorrei attingere e consegnare un po’ di quella luce antica e nello stesso tempo dare a quel luogo, a quella luce un po’ di ossigeno perché brilli di più”. Ecco, lui vedeva questi due mondi in un certo senso lontani e il suo desiderio era quello che si avvicinassero! Perciò diceva: “Loro hanno bisogno di noi, del nostro senso universale della considerazione dell’uomo, della fede, ma anche noi abbiamo bisogno di loro per non morire di benessere, di materialismo, di progresso vuoto, illusorio …” Lui non parlava tanto di un discorso solo culturale, lui parlava proprio di un ravvicinamento a livello di fedi, non per credere nelle stesse cose; infatti lui diceva: “Il dialogo non è quando diciamo le stesse cose; possiamo dire cose diverse, però ci apriamo l’uno all’altro nel cogliere il positivo, l’amore verso l’unico Dio, verso gli uomini, insieme, come umanità”.

D. – In un suo scritto don Andrea Santoro afferma: “Fate fiorire la carità amando chi non vi ama, facendo del bene a chi vi fa del male”. Questo è un messaggio potente nell’Anno della Misericordia, considerando che don Andrea non solo lo ha scritto ma lo ha vissuto fino all’effusione del sangue …

R. – Questo è vero. Ha avuto sempre questa attenzione verso coloro che erano più lontani da Dio. E lui diceva: “Io devo andare nei crocicchi delle strade, come dice Gesù; devo andare per raccogliere tutti, i più lontani, i più diseredati, così che possano vestire la veste bianca”. Quindi questa attenzione significa non solo perdonare, ma propriamente porsi in atteggiamento di piena accoglienza anche di coloro che in quel momento ci stanno facendo del male, di coloro che in quel momento non vorrebbero questo atteggiamento di vicinanza, di fratellanza, di amore. E lui non chiuse mai la porta a nessuno!

D. – In qualche modo, nella sua persona, nella sua testimonianza don Andrea Santoro, impersonifica "la cultura dell’incontro" di cui Papa Francesco tanto ci parla e lui stesso testimonia con i suoi gesti prima ancora che con le sue parole, proprio come don Andrea …

R. – Sì, un incontro fatto veramente di sentimenti, di volontà, di amore e di accoglienza; un incontro veramente dell’altro come altro, chiedendo all’altro di porsi nei nostri confronti un po’ con lo stesso atteggiamento, ma non per rivendicare qualcosa, ma perché se non c’è l’amore, anche reciproco, è difficile che poi ci sia la pace.








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