2016-02-09 13:50:00

Parlamento israeliano: prima approvazione a controllo ong


Ha destato reazioni in tutto il mondo la decisione del Parlamento israeliano di adottare, ieri in tarda serata e dopo una lunga discussione, un disegno di legge volto ad obbligare le Organizzazioni non governative operanti nello Stato ebraico a rivelare le fonti dei loro finanziamenti, in particolare di quelli provenienti da governi stranieri. Il testo è stato approvato in prima lettura con 50 voti a favore e 43 contrari e dovrà superare altri due passaggi parlamentari. “Peace Now”, una delle ong eventualmente interessate dal provvedimento, che da tempo critica la politica di colonizzazione portata avanti dall’esecutivo del premier Benjamin Netanyahu in Cisgiordania, parla di “pericoli” per la democrazia e denuncia un “giro di vite contro le voci del dissenso”. Nell’elenco, rientrerebbero anche altri organizzazioni, molte delle quali finanziate dall’Unione Europea, che si occupano del rispetto dei diritti umani nei Territori palestinesi. Sentiamo Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze, intervistata da Giada Aquilino:

R. – Il testo ha uno scopo sia di sostegno ad alcune organizzazioni sia di procurare un serio imbarazzo politico a Netanyahu, che capisce bene quali siano i risvolti di questa legge. La proposta parte dal ministro della Giustizia, Ayelet Shaked, appartenente al governo dell’ultra destra che vuole spodestare Netanyahu.

D. – Quali ong verrebbero colpite dal provvedimento?

R. - Tutte quelle che, secondo quanto la legge definisce, ricevono più della metà dei fondi da governi stranieri. Questo in pratica coinvolge organizzazioni come “B’Tselem”, “Pace adesso” ed altre simili che sono etichettate in Israele, nell’attuale clima politico, come “di sinistra” e come responsabili di “ingerenza indebita” nella vita politica israeliana.

D. - Non verrebbero colpite invece quelle ong che vanno a beneficiare di donazioni di privati?

R. - Assolutamente no. Tutte quelle associazioni e fondazioni che ricevono soldi da donatori privati stranieri - perlopiù americani - e aiutano direttamente o indirettamente i coloni attraverso l’acquisto di immobili o un sostegno nei vari insediamenti sarebbero escluse.

D. - Perché questa differenza tra ong?

R. - Perché le ong che si vuole colpire in qualche modo lavorano non tanto e non solo per i palestinesi o per quei settori della popolazione di Israele che sono contrari a questa linea politica, ma anche perché si vedono come un sostegno alla democrazia intesa in senso occidentale: e questa, in Israele negli ultimi tempi, soffre parecchio.

D. - Ma c’è poi il rischio che questi fondi vengano usati per qualcosa di pericoloso per lo Stato ebraico?

R. - Credo proprio di no, anche perché - conoscendo la gestione dei fondi a livello internazionale - posso dire che se un donatore tedesco o europeo in genere dà degli stanziamenti poi vuole un rendiconto.

D. - Lei ha citato il premier israeliano. Che ruolo ha in questo momento e il disegno di legge come potrebbe rivelarsi per Netanyahu?

R. - Netanyahu ha fatto in modo di togliere un articolo di legge che sarebbe stato esplosivo, cioè quello di obbligare gli attivisti di queste organizzazioni ad avere un distintivo visibile quando fossero entrati alla Knesset o nei vari ministeri. L’idea che questo potesse esser paragonabile ai distintivi colorati del passato era intollerabile e probabilmente gli attivisti lo avrebbero usato per creare fortissimo imbarazzo al governo.

D. -  Questo disegno di legge per Netanyahu cosa significherebbe?

R. - Significherebbe anche perdere l’appoggio politico, inteso in senso generale, di Stati cruciali. Ad esempio, i primi a protestare, prim’ancora della discussione alla Knesset, sono stati quattro europarlamentari tedeschi, tre di loro appartenenti ad un gruppo filo-Israele: hanno scritto a Netanyahu dicendo che la legge avrebbe creato non solo enorme imbarazzo, ma che avrebbe recato danno ai rapporti tra Israele e Germania. E la Germania è, finora, il più grande amico di Israele in Europa.

D. - Quindi di fatto ci sarebbero delle conseguenze negative?

R. - Questa legge è un boomerang. Pare venire incontro alla voglia della destra di combattere le attività di queste organizzazioni, ma vista dall’esterno - ed in questo caso significa dal punto di vista dell’Europa - può portare grandissimi danni, se si tiene poi presente che c’è in preparazione un’iniziativa francese che potrebbe recare Israele a negoziati che non vuole, oppure potrebbe portare i francesi a riconoscere lo Stato di Palestina portandosi dietro altri europei.








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