2016-02-11 14:30:00

Centrafrica: domenica il ballottaggio presidenziale


In Centrafrica, dopo una serie di rinvii, il ballottaggio per l'elezione del nuovo presidente si terrà come programmato domenica prossima. Lo ha reso noto la commissione elettorale: in corsa ci sono due ex premier, Georges Dologuele e Faustin Archange Touadera. Dopo il viaggio del Papa, lo scorso novembre, il Paese ha ritrovato una situazione di maggiore tranquillità. Dal marzo 2013 era caduto in una violenta guerra civile che ha causato morte e distruzione. Queste elezioni libere sono ora un nuovo segno di speranza per un futuro più stabile per il Paese. Stefano Pesce ha intervistato il prof. Gian Paolo Calchi Novati, direttore del Dipartimento di studi politici e sociali dell’università di Pavia:

R. – Domenica prossima si vota per un ballottaggio. Nel primo turno l’elettorato ha dimostrato di essere abbastanza frammentato; ci sono alcuni personaggi politici che hanno fatto parte di governi del passato. Non c’è quindi una vera rottura storica, però questa consisterebbe nell’elezione libera di un presidente.

D. – Il voto di domenica potrebbe dare un futuro a questo Paese?

R. - A questo punto si tratta di vedere se specialmente nel ballottaggio testa a testa il risultato sia sufficientemente netto da lasciar cadere i sospetti. Se il risultato fosse molto contrastato con una vittoria sui decimali c’è da temere che gli sconfitti possano risentirne.

D. - Tre anni fa un colpo di Stato ha cambiato il corso della storia del Paese. Che cosa è successo in questi tre anni?

R. - La crisi che si è prodotta nel 2013 è stata abbastanza anomala per la storia della Repubblica centrafricana e ha visto come protagonista ambivalente - per non dire ambiguo - il Ciad che da una parte ha dato l’impressione di voler sostenere un movimento islamico e poi quando questo è diventato pericoloso ha, in un certo senso, sostenuto una lotta per abrogare il potere politico che questo movimento aveva preso. Da questo momento in poi la Repubblica centrafricana è stata coinvolta in un contrasto cristiani-musulmani che non faceva parte della sua storia. Da allora risente di questo problema – jihadismo da una parte, war on terror dall’altra – con epicentri più drammatici nel Mali, nel Niger e recentemente persino nel Burkina Faso.

D. - Tutto questo si ripercuote ovviamente sulla popolazione. La Repubblica centrafricana conta cinque milioni di abitanti, la metà è a rischio fame. Dal punto di vista umanitario la comunità internazionale in che modo si muove?

R. - La crisi che ha tormentato lo Stato negli ultimi tre o quattro anni ovviamente, come purtroppo capita sempre, è stata duramente pagata dalla popolazione. Gli interventi dei Paesi vicini o lontani inevitabilmente - anche quando fossero ispirati da motivi di stabilizzazione - provocano delle situazioni di crisi, di emergenza. Ci sono anche delle organizzazioni internazionali che cercano di rimediare agli aspetti più drammatici dell’emergenza, ma sappiamo che è un Paese lontanissimo da tutte le vie di comunicazione internazionali e quindi pesantemente penalizzato da una situazione di emergenza. “È  il cuore - si diceva una volta –, il cuore malato dell’Africa”. Negli ultimi anni è ritornata questa sua fisionomia decisamente pericolosa per la sopravvivenza della popolazione.








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