2016-02-15 13:58:00

Galli della Loggia: media parziali e conformisti su Ddl Cirinnà


“Il dibattito sulle unioni civili. Il fronte unico dei modernisti”, così lo storico Ernesto Galli della Loggia ha denunciato sulle colonne del Corriere della Sera un’informazione in massima parte 'condizionata' nel dibattito in corso in Italia sulle unioni civili e in particoalre sulla cosiddetta "stepchild adoption", prevista nel Ddl Cirinnà, all’esame del Parlamento. Roberta Gisotti lo ha intervistato:

D. – Che cosa l’ha spinta a pronunciarsi controcorrente?

R. – Quello che a me sembra la realtà dei fatti: una stampa che per vari motivi dà voce soltanto ad uno dei punti di vista presenti nella discussione, cioè il punto di vista che è favorevole alla massima apertura di ogni tipo. Premetto che io sono favorevolissimo ad una regolamentazione delle unioni civili, dei diritti da dare alle coppie di conviventi omosessuali o non omosessuali. Diversissimo il caso, invece, del rapporto con le adozioni. Su questi temi e, in generale, su ogni tema di tipo etico, mi sembra che la stampa italiana - e tutto il sistema dei media - tenda a dare sempre e soltanto voce ad una delle parti, con un atteggiamento anche piuttosto derisorio, quasi a volte – come ho scritto – di dileggio nei confronti invece di chi aderisce del tutto legittimamente ad un punto di vista contrario.

D. – Da cittadini c’è da preoccuparsi che i media abbiano perso il loro ruolo di presentare, senza parteggiare, i termini di un dibattito i cui risultati sono ancora tutti da decidere, se l’ultimo sondaggio, pubblicato proprio dal Corriere della Sera, ieri, parlava di un 54%, ad esempio, contrario alla stepchild adoption. Comunque, insomma, è un dibattito da farsi…

R. – La questione va molto al di là della stepchild adoption, perché è una questione che riguarda in generale tutti gli orientamenti dell’opinione pubblica e, secondo me, in questo modo i giornali fanno anche il proprio danno. Credo, infatti, che una ragione per cui ci sia una sempre minore vendita di giornali, una perdita anche in qualche modo di autorevolezza della stampa e dei media - penso, ad esempio, al declino degli ascolti dei talk show televisivi – sia anche per questa rappresentazione sempre molto partigiana, ai limiti della faziosità, della discussione in atto nel Paese, che invece come lei ben ricordava vede le due parti numericamente fronteggiarsi e spesso – come in questo caso sulla questione della stepchild adoption – prevalere la parte contraria.

D. – C’è addirittura chi parla di lobby nel mondo della stampa e della comunicazione dello spettacolo, per orchestrare una vera strategia di convincimento popolare. Abbiamo avuto anche dei casi di personalità nel mondo della moda, dell’industria, dello spettacolo – ultimo il caso di Renato Zero - insomma, di persone tolte dalle agende dei talk show, boicottate nel lavoro, seriamente, dileggiate sui social…

R. – Non conosco nessun retroscena, quindi la mia è un’impressione totalmente dall’esterno. Io credo che non ci sia nessuna azione sotterranea di alcuna lobby: c’è un grave tasso di conformismo, caratteristica del nostro Paese. Prendiamo l’esempio di questi cantanti al Festival di Sanremo. Io credo che la vera ragione che li ha spinti ad esibirsi a favore, appunto, di una certa parte non sia stato il fatto che essi erano tutti veramente convinti delle buone ragioni di quella parte. E’ stato semplicemente perché hanno avuto l’impressione che quella parte fosse prevalente, che fosse molto popolare schierarsi in un certo modo. Se – faccio un esempio assurdo – in Italia ci fosse un regime nazista, io penso che molti di quei cantanti sarebbero apparsi sullo schermo con un bel distintivo con la svastica, pensando che la maggioranza di coloro cui potessero vendere la loro musica fosse nazista. E’ semplicemente la malattia del conformismo, che in Italia è molto forte, soprattutto nell’ambito dello spettacolo, dei media. Anche perché in genere questo campo dipende molto dalla politica, è molto strettamente connesso alla politica.

D. – Conformismo: malattia che ha colpito anche massima parte dei conduttori, dei giornalisti che si sono appunto avventurati in questo dibattito…

R. – Tutto il mondo che ruota intorno ai media e non solo, anche intorno allo spettacolo che, com’è noto, per molti aspetti dipende economicamente dalle decisioni politiche, dai fondi ministeriali.

D. – E’ pur vero che i media non possono abdicare al loro ruolo deontologico di informare in democrazia su tutte le posizioni….

R. – Sì, a riprova di questo, penso che ci sia anche il fatto che un giornale come il Corriere della Sera abbia pubblicato il mio articolo. La battaglia, quindi, non è assolutamente perduta.

D. – Lei naturalmente non teme ripercussioni…

R. – Su di me? Assolutamente no, lo escludo radicalmente.

D. – Quindi questo è incoraggiante per tutte le persone a non avere paura delle proprie idee…

R. – Assolutamente sì, direi. Mi sembra veramente strano il solo fatto che si pensi che in Italia possa essere pericoloso esprimere le proprie idee. Questo lo escluderei assolutamente. Naturalmente c’è appunto questa cappa di conformismo contro la quale ognuno di noi è chiamato a battersi, a lottare e a levare la propria voce di protesta.








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