Abbiamo perso decenni pensando che il problema della sicurezza si risolvesse solo incarcerando, mentre è necessario prevenire e affrontare le cause strutturali dell'insicurezza: è quanto ha detto il Papa ai detenuti del Penitenziario Cereso 3, prima tappa della visita a Ciudad Juarez. Un discorso intenso, un incontro commovente. Molto bello l'abbraccio con la detenuta che ha offerto la sua testimonianza e con i carcerati che hanno improvvisato una piccola orchestrina. Oltre 254 mila detenuti di 389 carceri messicane hanno potuto seguire in Tv l'evento. Il servizio del nostro inviato Alessandro Guarasci:
L’accoglienza è festosa a Ciudad Juarez, città al ridosso del confine con gli Usa. In migliaia sono ad accoglierlo all’aeroporto. Ma Francesco è venuto qui per parlare anche e soprattutto per coloro che sono, purtroppo, il frutto della civiltà dello scarto: i carcerati. E allora ecco che Francesco si reca nell’Istituto di rieducazione Cereso 3, uno dei più grandi del Paese. Qui ci sono circa tremila detenuti, nel cortile ne sono stati radunati 700 e Francesco ne ha salutati una cinquantina. Una ragazza ha portato la sua sofferta testimonianza. Nella cappella una preghiera comune, durante la quale il Pontefice regala un Crocifisso di cristallo, a lui i ragazzi del Penitenziario ne donano uno di legno.
Rompere i giri viziosi della "violenza e della delinquenza"
A chi è rinchiuso qui, il Papa ricorda che serve rompere
i giri “viziosi della violenza e della delinquenza”, che “non c’è luogo dove la sua
misericordia non possa giungere, non c’è spazio né persona che non essa non possa
toccare”. Dunque tutti hanno possibilità di redimersi. Francesco sottolinea che “ci
siamo dimenticati di concentrarci su quella che realmente dev’essere la nostra preoccupazione:
la vita delle persone, quella delle loro famiglie, quella di coloro che pure hanno
sofferto a causa di questo giro vizioso della violenza”.
Carceri sintomo della cultura dello scarto
Le carceri sono spesso un buco nero della nostra società,
fa capire Francesco: “La misericordia divina
ci ricorda che le carceri sono un sintomo di come stiamo come società, in molti casi
sono un sintomo di silenzi e omissioni provocate dalla cultura dello scarto. Sono
un sintomo di una cultura che ha smesso di scommettere sulla vita; di una società
che è andata abbandonando i suoi figli”. Poi
una confessione che viene dal cuore del Pontefice:
“Hermanos, siempre me pregunto al entrar a una
cárcel:...
Fratelli, mi chiedo sempre entrando in un carcere:
'Perché loro e non io?'. E questo è un mistero della misericordia divina. Ma questa
misericordia divina la stiamo celebrando oggi tutti quanti, guardando avanti nella
speranza”.
Il problema della sicurezza non si risolve solo incarcerando
Il Papa mette in luce che “la misericordia ci ricorda
che il reinserimento non comincia qui tra queste pareti, ma che comincia prima, 'fuori',
nelle vie della città”. Dunque, serve una società che non si ammali, perché, fa notare
il Pontefice, “il problema della sicurezza non si risolve solamente incarcerando",
ma intervenendo "per affrontare le cause strutturali e culturali dell’insicurezza
che colpiscono l’intero tessuto sociale”. E il reinserimento sociale inizia mandando
i propri figli a scuola, creando spazi pubblici per il tempo libero, favorendo la
partecipazione civica. Un discorso particolarmente importante in questo periodo per
il Papa:
"Celebrar el Jubileo de la misericordia con ustedes
es aprender...
Celebrare il Giubileo della misericordia con voi significa imparare a non rimanere
prigionieri del passato, di ieri. È imparare ad aprire la porta al futuro, al domani:
è credere che le cose possano essere differenti. Celebrare il Giubileo della misericordia
con voi è invitarvi ad alzare la testa e a lavorare per ottenere tale desiderato spazio
di libertà”.
Ed ancora:
“Celebrar el Jubileo de la Misericordia con ustedes
es repetir esa frase...
Celebrare il Giubileo della misericordia con voi è ripetere quella frase che abbiamo
ascoltato recentemente e che ho detto con tanta forza: quando qualcuno mi ha detto:
'Non ti domandare perché sei qui, ma perché'. E questo 'perché' ci porti avanti; e
questo 'perché' ci faccia saltare gli inganni sociali che credono che la sicurezza
e l’ordine si raggiungono solamente incarcerando le persone”.
Francesco dice che ora, a chi costretto in carcere spetta la parte più dura: aiutare a frenare il giro vizioso della violenza e dell’esclusione.
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