2016-02-19 12:10:00

Sudan, scelti i missionari della misericordia per i rifugiati


In Sudan, dal 2010 a oggi il numero dei cristiani è diminuito in maniera drastica, passando da 5,5 milioni ad appena un milione. Per permettere alle comunità cattoliche sudanesi, sempre più isolate, di vivere il Giubileo, il Papa ha voluto la nomina di quattro missionari della misericordia. Ma quali sono le condizioni di chi oggi in Sudan professa la fede cristiana? Eugenio Murrali lo ha chiesto a Marta Petrosillo, portavoce in Italia della Fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre:

R. – La secessione del Sud, a maggioranza cristiana, ha lasciato un Nord a netta maggioranza islamica e con un governo – quello di Omar al-Bashir – che ha ulteriormente inasprito le misure contro le minoranze. Nel Paese vige la shari’a – la legge coranica – ed è applicata anche ai non musulmani. Un caso emblematico è quello di Mariam Ibrahim, la donna condannata a morte perché accusata del reato di apostasia, ovvero di aver abbandonato la fede islamica per il cristianesimo. Purtroppo, quello di Mariam non è un caso isolato in un Sudan in cui, ad esempio, le donne cristiane sono condannate a ricevere delle frustrate per aver indossato dei pantaloni o delle gonne ritenute troppo corte dalla polizia religiosa.

D. – Il Papa ha voluto che fossero nominati quattro missionari della misericordia: sono dei laici scelti ognuno da un campo profughi diverso per impartire la catechesi. Qual è il senso di questa iniziativa?

R. – Moltissimi cristiani emigrati nel Sud Sudan dal Sudan dopo la creazione dello Stato del Sud Sudan, a causa della guerra civile in atto nello Stato più giovane al mondo sono dovuti ritornare in Sudan. Moltissimi si trovano nei campi profughi. Ovviamente, non sempre le comunità sono semplici da raggiungere e, incontrando i vescovi dei due Paesi, il Santo Padre ha sottolineato proprio l’importanza della figura dei catechisti. Questi d’altronde sono molto importanti, specialmente in Africa, per raggiungere quelle comunità che si trovano lontane dai centri parrocchiali e sono difficilmente raggiungibili da parte dei sacerdoti. Quindi, un ruolo cruciale anche in questo Anno della Misericordia lo riveste la figura del catechista, sia nel senso della vicinanza alla popolazione, ma anche per invitare quanti stanno soffrendo a causa della guerra e delle limitazioni che si vivono nel Sudan alla misericordia, appunto, a perdonare e a non cercare vendetta.

D. – Urgenze spirituali, ma anche urgenze materiali per i cristiani?

R. – Ovviamente sì, perché poi tra l’altro, dopo la secessione del Sud Sudan, tutte le persone originarie delle regioni oggi appartenenti al Sud Sudan sono state private della loro cittadinanza dal governo di Khartoum. Quindi, sono costretti a vivere in Sudan a causa della guerra civile in atto in Sud Sudan e delle gravi condizioni nel Paese, ma la loro situazione, da rifugiati, non è certamente semplice anche a causa di questo provvedimento che li priva della cittadinanza. Quindi, sì, è necessario provvedere anche ai loro bisogni materiali.

D. – In questo senso, il sostegno di Aiuto alla Chiesa che Soffre al programma "Save the Saveable" è  importante. Come continua questo progetto?

R. – È un progetto nato nel 1986 che noi abbiamo sostenuto fin dal principio e che si occupa proprio dell’educazione dei bambini dei campi profughi di Khartoum. Un'iniziativa molto importante, sia perché permette una formazione di questi bambini ispirata ai valori cristiani che altrimenti, se andassero nelle scuole statali, riceverebbero un’educazione fortemente islamica. Ma soprattutto permette alle bambine di essere educate, dal momento che, in molte scuole del Sudan, anche statali, alle bambine non è permesso di frequentare la scuola.








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