2016-02-23 15:00:00

Shevchuk: con gli ortodossi vogliamo un cammino di comunione


“Vogliamo camminare insieme con gli ortodossi, costruire non solo la pace ma vogliamo l’unità tra le Chiese”. Così si è espresso l’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk, capo del sinodo della Chiesa greco cattolica ucraina, durante un incontro con i giornalisti oggi a Roma. In un dialogo disteso e franco in cui ha risposto a diverse domande e ha annunciato che a breve sarà in udienza dal Papa, il presule è tornato sull’incontro e la dichiarazione congiunta del Pontefice e del Patriacrca Kirill a Cuba, spiegando perplessità e polemiche che ne sono nate ma sottolineando soprattutto che si è trattato di un evento positivo, un punto di partenza e non di arrivo. Il servizio di Gabriella Ceraso:

“Finalmente! E’ questa l’espressione che ho ripetuto di fronte all’abbraccio del Papa e del Patriarca”. Apre così la sua lunga chiacchierata con i giornalisti sua Beatitudine Shevchuk, tornando con il pensiero a quel giorno:

“Io penso che questo abbraccio sia veramente una cosa sacra. Questo genere di incontri fanno da pietre miliari nel cammino ecumenico della Chiesa”.

Lo “Spirito Santo” aggiunge “ha aperto orizzonti sconosciuti facendoci uscire dai limiti umani”. Un evento dunque positivo così come lo è stata la Dichiarazione congiunta nel suo complesso, anche se, osserva, in un testo così lungo, è sempre difficile essere chiari.

Il presule non nasconde perplessità e dolori infatti che ne sono nati in Ucraina. Bene, fa notare, l’affermazione del “diritto ad esistere” riconosciuto alle “comunità ecclesiali” e passo in avanti nel testo è il “diritto di assistere i nostri fedeli ovunque”, che finora, ricorda, non era permesso, ma ripete: non dobbiamo chiedere a qualcuno il diritto di esistere, solo Dio lo stabilisce e soprattutto fa male alla comprensione della verità la scarsa chiarezza circa la questione dell’uniatismo e l’uso generico del termine “comunità ecclesiali” senza riferimenti precisi alla Chiesa greco-cattolica ucraina:

“Perché nella terminologia della teologia ecumenica moderna questo termine viene usato per le comunità cristiane che non hanno conservato la pienezza della successione apostolica. Invece noi siamo una parte integrante della comunione cattolica”.

Il presule sottolinea che anche il modo di concepire e presentare la guerra in Ucraina, nella Dichiarazione congiunta, ha suscitato polemiche. Ora non se ne parla più tanto eppure esiste ed è un dramma, per 45 milioni di persone. Ogni giorno, ci sono morti, feriti, ingresso di soldati russi e armi pesanti. Infatti, sottolinea, non è un conflitto civile ma una aggressione straniera e questo non è emerso dalla Dichiarazione. Ma poi aggiunge:

“Ma il Santo Padre poi ha chiarito tanto, perché ha affermato che ha incontrato i due presidenti, e si riferiva sia al presidente Putin che al presidente ucraino Poroshenko. E questo veramente è bello, è rassicurante, perché così ha detto: ‘Ho parlato con tutti dicendo: ma fatela finire! Fate la pace!’”.

A chi gli fa notare che il popolo ucraino è rimasto ferito dalla Dichiarazione, l’arcivescovo, come affermato in sintesi anche dal Papa, spiega:

“Io capisco questi sentimenti della mia gente, perciò mi sono fatto portavoce di questi affinché non soltanto noi tra di noi compiangiamo. Il Santo Padre deve conoscere questi sentimenti; addirittura ha detto che lui rispetta questi sentimenti e che il popolo ucraino soffre veramente: soffre la guerra che forse impedisce di capire questo gesto profetico”.

Ma noi pastori, aggiunge, abbiamo la responsabilità di far capire e farci capire. “Se i passi profetici", prosegue, "compiuti dal Papa sono opera dello Spirito Santo, porteranno i loro frutti”.

Dalla conversazione emerge che ora la domanda da porsi, dopo quanto accaduto, è: quali passi compiere nel cammino dell’unità, voluta da Dio nell’"Ut unum sint"? Fondamentale è il dialogo, nella verità, fatto con toni pacati e liberi dai condizionamenti geopolitici e con attenzione al pericolo di strumentalizzazione della religione:

“I cristiani possono incominciare un dialogo, ascoltarsi, perdonarsi a vicenda, fare la pace, fare un cammino verso l’unità piena e visibile, soltanto quando saranno liberi dalla geopolitica, dalla sottomissione a un potere temporale, liberi dalla follia dei potenti di questo mondo”.

Quello che serve è comunione e cammino, ripete l’arcivescovo maggiore di Kiev: in Ucraina il livello di collaborazione è più avanzato di quanto si dica. Comunque si può partire dal lavoro nell’ambito del Consiglio Pan-ucraino delle Chiese, ma bisogna sempre tenere presente quale è la ricchezza contenuta nell’”incontro” e mai temerlo.








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