2016-02-25 12:30:00

Aumentano gli schiavi del caporalato: paghe da 2,50 euro a ora


Meno di 2 euro e cinquanta per un’ora di lavoro sotto il sole o sotto la pioggia, senza possibilità di fermarsi, dalla mattina alla sera. Un sistema, quello del caporalato, che lega il bracciante agricolo, spesso extracomunitario, a meccanismi simili alla schiavitù. E come denuncia il rapporto Ambrosetti 2015, il caporalato è in continua crescita: solo lo scorso anno sono stati 400 mila i braccianti agricoli sfruttati, 10 di loro sono morti nei campi. Stefano Pesce ne ha parlato con Davide Fiatti, membro della Flai, la Federazione lavoratori dell’agroindustria:

R. – Stiamo parlando di un sistema che non è solo ed unicamente di intermediazione di manodopera. Nel caso soprattutto dei lavoratori stranieri – parlo di comunitari ed extracomunitari, bulgari e romeni sono coinvolti nella questione – il caporale in quel caso offre al lavoratore straniero tutto il pacchetto, nel senso che interviene sul lavoratore anche per quegli aspetti “sociali”. Per cui gli trova l’alloggio, veri e propri ghetti o baracche. Il trasporto è fondamentale. Si riesce ad arrivare al luogo di lavoro attraverso il trasporto gestito dai caporali. Per esempio, per i lavoratori italiani è molto lontano, in modo tale che il lavoratore deve assoggettarsi a questa intermediazione. Il caporalato presiede tutta la vita sociale del lavoratore.

D. - È una piaga che affligge tutta Italia o solo alcune zone?

R: - Il caporalato come sistema è presente in tutta Italia. È chiaro che in situazioni sociali più gravi, come quelle al Sud, è più evidente la mancanza di alloggi e quant’altro. Comunque la presenza di caporalato sotto varie forme si sta diffondendo in tutta Italia nell’agricoltura. In Piemonte si stanno presentando cooperative romene o bulgare che portano i lavoratori sul posto, lavorano e poi li riportano via, tutto il pacchetto insomma.

D. - I numeri del rapporto 2015 ci dicono anche che è un fenomeno in crescita …

R. - Sì, è un fenomeno in crescita anche sotto nuove forme, nel senso che si stanno raffinando anche dal punto di vista giuridico e formale sfruttando norme europee che prevedono che una persona possa lavorare in un Paese applicando i contratti nazionali del Paese di provenienza. Il sistema del caporale non è disgiunto dal  sistema imprenditoriale, nel senso che il caporale esiste nella misura in cui ci sono anche imprenditori che richiedono questo tipo di servizio. Per come è strutturata l’agricoltura, c’è la necessità di lavoratori in tempi brevi e in vari luoghi per seguire la stagionalità. Ad oggi c’è modo anche per un imprenditore che vuole stare in regola di riuscire ad andare e cercare un lavoratore, a meno che non abbia amicizie. Per cui paradossalmente il caporalato diventa un servizio per l’imprenditore. Ad esempio: mi servono dieci operai dopodomani in quel terreno per raccogliere queste cose: alzo la cornetta, chiamo il caporale e gli offro il pacchetto chiavi in mano, fuori dalle regole, schiavizzando magari anche il personale.

D. - Le dieci vittime del 2015 i dicono che si può morire a causa del caporalato…

R. - Sì, è un lavoro duro in cui si può morire. Il lavoratore può essere esposto anche alle sostanze chimiche che si utilizzano. Non è casuale che l’agricoltura nel contratto nazionale preveda sei ore e mezzo di lavoro al giorno.

D. - Quali sono i ritmi di un lavoratore sotto caporalato?

R. - Tra le dieci e le quattordici ore al giorno con mezzo litro d’acqua a disposizione, ovviamente acquistato dal caporale, come per il panino. Queste cose vengono sottratte dalla paga, non hanno interruzioni. Questi sono i ritmi.

D. - Quali sono gli strumenti a disposizione per combattere il caporalato?

R. - Sicuramente maggiori controlli, questo va fatto; la creazione di un sistema di incontro pubblico trasparente tra la domanda e l’offerta di lavoro: un luogo, una lista dove imprenditori si iscrivono, così come i lavoratori che vogliono fare i braccianti. Lì l’imprenditore pesca, chiama e può cercare il lavoratore. C’è bisogno di strutture convenzionate per il trasporto dei lavoratori sul territorio, perché poi bisogna fare in modo che questi lavoratori possano arrivare nei campi, spesso luoghi distanti dai centri abitati. Nel 2011 dopo una battaglia della Cgil e della  Flai è stato creato il reato penale di caporalato che va rafforzato per colpire anche l’imprenditore. In Senato c’è un disegno di legge in cui questi aspetti vengono affrontati.








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