2016-02-25 15:28:00

Nigeria, cristiani perseguitati e nuove violenze a Yola


È il peso della violenza, della persecuzione e dell’insicurezza a caratterizzare la presenza cristiana nel nord della Nigeria e nella cosiddetta "Middle Belt" del Paese africano. A rivelarlo è il recente rapporto “Crushed but not Defeated” dell’organizzazione "Open Doors", secondo cui tra i 9 mila e gli oltre 11 mila cristiani sono stati uccisi, oltre un milione di cristiani dal Duemila a oggi sono diventati sfollati interni o sono stati obbligati a trasferirsi altrove e 13 mila chiese sono state distrutte o costrette a chiudere, per non parlare delle migliaia di attività economiche, proprietà e abitazioni cancellate. A generare tale violenza gli attacchi degli estremisti islamici di Boko Haram ma anche gli scontri e le rivalità degli allevatori Hausa-Fulani, in un Paese in cui anche nelle ultime ore un’esplosione ha sconvolto la città di Yola, nello Stato dell’Adamawa. Ce ne parla padre Patrick Alumuku, direttore della comunicazione dell’arcidiocesi di Abuja, intervistato da Giada Aquilino:

R. – Stiamo vivendo questa situazione già da 3-4 anni. La maggior parte di questi problemi si verifica nella zona di Jos, nello Stato di Plateau, e anche in quello di Benue. In questi Stati, gli allevatori musulmani, che sono Hausa-Foulani, scendono con mucche e vario bestiame nel centro del Paese, che è una parte popolata da cristiani. Il bestiame si ciba di tutto quello che trova nei campi degli agricoltori e si viene a creare così una situazione di disagio, di tensione tra tali allevatori e la gente del posto.

D. – Su questa situazione già critica si innesta la violenza dei Boko Haram?

R. – Esatto, perché sono tutti insieme. Infatti, tante persone fanno parte di Boko Haram. In questo anno, con il nuovo governo si è fatto molto anche perché il presidente Buhari è musulmano ed è fortemente contro Boko Haram: insiste sul fatto che Boko Haram non è l’Islam e che i musulmani veri non sono membri di Boko Haram. Sottolinea che i Boko Haram sono fondamentalisti che cercano di mettere in difficoltà tutti, sia cristiani sia musulmani.

D. – Proprio nelle ultime ore c’è stato un ennesimo attentato a Yola che ha colpito, tra i vari obiettivi, anche una scuola primaria. Perché?

R. – Adesso, Boko Haram non ha più la forza che aveva prima, quindi cercano “soft target”, cioè cerca obiettivi come la popolazione inerme che si va a trovare davvero in difficoltà con una sofferenza del genere. Boko Haram ha sempre avuto tra i suoi obiettivi le scuole, dove crede che la gente impari i valori occidentali. Però, vedendo quello che faceva prima, sappiamo che Boko Haram non ha più la capacità di conquistare e di instaurare un califfato o quello che sperava di fare.

D. – Ritornando al rapporto, il documento parla di vittime tra i cristiani, di sfollati, di chiese distrutte o costrette a chiudere, di abitazioni, negozi, attività economiche cancellate. Ci sono testimonianze da parte della comunità cristiana su quanto sta avvenendo?

R. – Io vengo dalla zona di Makurdi, nello Stato di Benue. E un giorno, andando da Abuja verso Makurdi, ho incontrato mezzo milione di sfollati che camminavano trasportando tutti i loro averi. E’ stata una cosa incredibile, mai vista prima. Uomini armati hanno cominciato a sparare. Hanno preso il telefonino di un giovane e, dopo averlo ucciso, hanno iniziato a chiamare ogni numero registrato in quel cellulare. Hanno chiamato praticamente tutte le persone della zona, dicendo: “Questa sera saremo lì e, quando arriveremo, uccideremo tutti”. Quindi, gli abitanti impauriti hanno cominciato veramente ad abbandonare la zona.

D. – Nonostante le violenze, le discriminazioni, le persecuzioni nei confronti del cristiani, nelle aree del centro e nord della Nigeria i cristiani sono ancora presenti?

R. – Quella del centro è una zona cristiana. La settimana scorsa poi abbiamo avuto una Messa in cui il cardinale Onaiyekan ha detto come ultimamente nonostante gli attacchi di Boko Haram nel nord - dove sembrava ci fossero tutti musulmani - il numero di cristiani sia molto grande. Per questo dobbiamo pregare per loro: sono lì, nei campi profughi, con la speranza di tornare a casa, perché non c’è alternativa a dove andare. La Chiesa chiede continuamente che il governo faccia qualcosa per chi è perseguitato e fa il possibile. Abbiamo tanti campi profughi, portiamo cibo, vestiti, un po’ di denaro, sapone, medicine.








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