È arrivato “il momento di agire per liberare i lavoratori filippini detenuti all’estero e portarli a casa sani e salvi”. È l’appello che ha rivolto al governo di Manila mons. Ruperto Santos, vescovo di Balanga e presidente della Commissione episcopale per la cura dei migranti, cha ha chiesto alle autorità di prendere ogni provvedimento affinché “non sia prolungata la loro agonia e il loro dolore”.
Il caso Urbiztondo
Le parole di mons. Santos, citate dall’agenzia AsiaNews, arrivano poche ore dopo il
ritorno a casa di Joseph Urbiztondo, lavoratore filippino detenuto per 25 anni in
Kuwait, che è riuscito a pagare il “prezzo del sangue” e ad avere salva la vita. L’uomo
era stato accusato di aver ucciso un collega bangladeshi. Urbiztondo, che ha sempre
dichiarato di non avere nulla a che fare con l’omicidio, ha dovuto pagare 26mila dollari
alla famiglia della vittima per essere scagionato. “Siamo contenti per quello che
è successo a Urbiztondo – ha detto mons. Santos - Egli ha sofferto molto. Siamo grati
a Dio per il fatto che sia stato liberato, sia vivo e ora sia con coloro che lo amano”.
10 milioni i lavoratori filippini emigrati all’estero
Secondo il Dipartimento degli affari esteri filippino, i lavoratori emigrati all’estero
sono circa 10 milioni, di cui 2,2 milioni in Arabia Saudita. Almeno 3.800 di loro
sono in carcere, 90 dei quali nel braccio della morte. Di questi, 41 sono in Malaysia
e 27 nel regno saudita. Non tutti riescono a salvarsi come Urbiztondo: il 30 dicembre
scorso, Joselito Lidasan Zapanta, piastrellista di 35 anni, è stato decapitato in
Arabia Saudita per non aver pagato il “prezzo del sangue”.
Necessario impegno costante delle autorità
Per questo, mons. Santos ha ribadito che tale situazione non può continuare ad essere
gestita senza l’impegno costante delle autorità, e il governo filippino deve ideare
una strategia per abbreviare le sofferenze dei propri lavoratori all’estero: “Il governo
dovrebbe assisterli e aiutarli, ora e sempre”, ha concluso. (I.P.)
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